di Ilario Pedrini
Per la stragrande maggioranza della gente l’Uzbekistan è solo un luogo non meglio definito sulla cartina dell’Asia. Forse, per associazione di immagini, qualcuno pensa a Natasha Alam, modella uzbeka (naturalizzata statunintense), spostata con Amir Ebrahim Pahlavi Alam, nipote dello scià dell’Iran, che ha sposato. Quasi nessuno pensa a questo Paese come quello del grande dramma dell’acqua. «L’Uzbekistan, già parte dell’Impero russo dal Diciannovesimo secolo e Repubblica socialista sovietica dal 1924, è una della cinque repubbliche centroasiatiche – spiega la Treccani – nate nel 1991 a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica. L’indipendenza non ha comportato in Uzbekistan, come in molte altre realtà regionali, una rottura con la precedente pratica di governo autoritaria, né con la nomenclatura che sino ad allora aveva retto il paese». Artefice dell’indipendenza uzbeka è stato Islom Karimov, attuale presidente e già segretario generale del Partito comunista uzbeko tra il 1989 e il 1991. Karimov ha guidato la transizione repubblicana controllando le leve del potere politico, istituzionale ed economico. «Al famosissimo caso da manuale chiamato Lago d’Aral – si legge nel blog farfalleetrincee – si sono aggiunti altri inquietanti segnali di una futura carenza di acqua per l’intera regione. La catena del Tian Shan, da cui nasce l’importante fiume Syr Darya ha perso in circa cinquant’anni il 27% dei suoi ghiacchiai, mentre in Afghanistan e Pakistan i ghiacciai che si stanno ritirando sono il 93%. Un altro importante lago, il kazako Balkash, rischia di fare la fine dell’Aral in Uzbekistan, paese in cui il fenomeno si rivela in tutta la sua drammatica complessità». La situazione è drammatica. È peggiorata anche a causa dei cambiamenti climatici, amplificati dalla lontananza centroasiatica dal mare, stanno rendendo drammatica una situazione nata anche «dall’eccessivo sfruttamento delle acque disponibili, per usarle ai fini della produzione industriale, nel caso uzbeko soprattutto incentrata sul cotone». E così una fetta della popolazione si sta spostando «dall’ovest dell’Uzbekistan alla ricerca di terre nella Valle di Ferghana, la regione più fertile del paese e già densamente popolata». La prospettiva è quindi quella di un’Asia Centrale spezzata in due: da una parte «i Paesi ricchi di energia e poveri d’acqua (Uzbekistan, Turkmenistan e Kazakistan), dall’altra i paesi ricchi d’acqua e poveri di energia (Tagikistan e Kirghizistan)». Uzbeki e Tagiki stanno già “litigando”. Intanto Mosca ha fatto sapere che finanzierà la costruzione di nuove centrali idroelettriche in Kirghizistan. Le repubbliche centroasiatiche si muovono in ordine sparso nella gestione delle proprie risorse. Pare che a mancare sia proprio un intervento regolatore, una regia centrale, che un tempo era affidata all’Unione Sovietica.