Il punto debole di Erdogan

Il partito del Presidente ha perso il controllo delle due più grandi città turche, Istanbul e Ankara. La situazione su crisi economica e di relazione in casa Nato

Recep Tayyip Erdogan non è invincibile. Le elezioni amministrative di domenica 31 marzo hanno fatto emergere il punto debole dell’uomo forte di Turchia, al potere con il suo partito, l’Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), dal 2003. L’Akp ha subito gravi battute d’arresto perdendo il controllo delle due più grandi città del Paese: Istanbul e Ankara. L’Opposizione ha strappato alla Coalizione di Governo anche il centro industriale di Adana e la località turistica di Antalya, due storiche roccaforti della destra islamica e nazionalista. Inoltre, nel Sud Est dell’Anatolia, la formazione filo curda è tornata a conquistare tutti i maggiori centri, dai quali il governo centrale aveva negli scorsi anni allontanato i sindaci perché accusati di presunti legami terroristici con il Pkk.

Gli scarsi risultati non possono però essere considerati una sconfitta a tutto tondo: a livello nazionale, infatti, la coalizione di Erdogan resta sopra il 50 per cento. La batosta elettorale, però, risulta più evidente se si considera che da diciassette anni il partito conservatore ha sempre avuto successo in ogni competizione elettorale. Le proteste pre e post voto non sono mancate e hanno lasciato sul campo quattro morti e decine di feriti per disordini e violenze, soprattutto nell’area curda. Inoltre molti osservatori internazionali sono stati fermati e interrogati dalla polizia.

Ma per quale ragione Erdogan ha perso consensi? La ragione principale è economica. Nei nei primi anni di potere di Erdogan il Paese aveva conosciuto ritmi di crescita eccellenti, ma lo scenario è cambiato negli ultimi anni. Solo nel 2018 la lira turca ha perso il 28 per cento del proprio valore, portando l’inflazione al 20 al cento. Il calo dei consumi legato all’inflazione ha portato la disoccupazione oltre il 10 per cento e al 30 per cento tra i giovani. Nel marzo 2019 le statistiche ufficiali hanno mostrato che negli ultimi due trimestri del 2018 l’economia turca è scivolata nella sua prima recessione in un decennio, poiché l’inflazione e i tassi di interesse sono aumentati a causa della crisi monetaria.

Il benessere economico e la stabilità politica, secondo molti osservatori, avevano permesso agli elettori di barattare la stretta sulle libertà civili, a partire dalla repressione della stampa critica nei confronti del governo, con decine di giornalisti arrestati e la progressiva islamizzazione del Paese che aveva avuto come uno dei principi fondanti della propria identità nazionale la laicità e la secolarizzazione.

Ma il partito di Erdogan non ci sta a subire la sconfitta. Bayram Senocak, il più alto funzionario del partito Akp a Istanbul, ha detto di aver presentato obiezioni ai risultati in tutti i 39 distretti della città, chiedendo un nuovo conteggio per correggere le presunte irregolarità e una rivalutazione dei voti non validi.  E anche ad Ankara, Hakan Han Ozcan, presidente del partito nella capitale, ha fatto sapere che avrebbe presentando un appello per i 25 distretti della città.

Oltre alla batosta elettorale interna, Erdogan deve anche affrontare una spinosa questione con gli Stati Uniti. Gli Usa hanno infatti recentemente fermato la consegna delle attrezzature relative all’F-35 ad Ankara in attesa di risolvere una controversia con la Turchia per l’acquisto del sistema di difesa aerea S-400 della Russia. Secondo gli Usa, infatti, l’acquisto di un sistema di difesa aerea russo comprometterebbe la sicurezza degli aerei F-35 e metterebbe in pericolo le difese occidentali. Il blocco Usa è arrivato dopo mesi di avvertimenti da parte di Washington e proprio pochi giorni prima della celebrazione del 70esimo anniversario della Nato. Il disaccordo sull’F-35 è l’ultimo di una serie di dispute diplomatiche tra Stati Uniti e Turchia. Tra queste si ricordano le richieste turche di estradizione dagli Stati Uniti del predicatore e uomo d’affari Fethullah Gulen, le divergenze sulla politica mediorientale e la guerra in Siria.

(di red/Al.Pi.)

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