La grazia a Zaki è la vittoria di al-Sisi

La Premier Giorgia Meloni ringrazia il Presidente egiziano, il quale ha inviato il chiaro messaggio ai suoi connazionali all’estero che il dissenso si paga caro, mentre con questa mossa potrebbe ottenere gli armamenti italiani richiesti la cui vendita è al momento congelata 

di Alessandro De Pascale

Il Presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, ha annunciato ieri la “grazia presidenziale” per Patrick Zaki. Il ricercatore dell’Università di Bologna (il 5 luglio si era laureato in videocollegamento ricevendo 110 e lode) era stato condannato ieri dalla Corte Speciale egiziana a tre anni per diffusione di notizie false. Il tutto sulla base di un articolo scritto nel 2019 per i copti. A questa minoranza religiosa, la più consistente dell’Egitto (tra 6 e 8 milioni di fedeli) e la maggiore comunità cristiana del Medio Oriente, appartengono anche i suoi genitori.

La sentenza di condanna a Zaki non era appellabile, avendo il sistema giudiziario egiziano un solo grado di giudizio. Il ricercatore dell’Università di Bologna è stato quindi arrestato ieri già nell’aula del tribunale. Senza la grazia (chiesta dall’Italia, dagli Stati Uniti e dalle organizzazioni per i diritti umani), dei 3 anni della condanna avrebbe dovuto scontare in prigione altri 14 mesi. Poiché è stato dietro le sbarre in carcerazione preventiva dal 7 febbraio 2020, giorno in cui è atterrato all’aeroporto de Il Cairo con l’intenzione di far visita ai parenti, fino all’8 dicembre 2021, quando è stato liberato con il divieto di espatrio per continuare il processo.

Con il caso Zaki, il presidente egiziano al-Sisi, ha mandato un messaggio chiaro a tutti i suoi concittadini che all’estero criticano il suo potere o fanno attivismo. L’avvertimento del capo delle forze armate che il 3 luglio 2013 ha guidato il colpo di Stato militare che ha rovesciato il suo predecessore Mohamed Morsi, suona più o meno così: ‘Con tali comportamenti non potrete tornare in Egitto, se non a rischio di finire nelle patrie galere e sotto processo’. Laureato in farmacia alla German University del Cairo e ora anche anche all’lma Mater di Bologna (con un master in Women’s and Gender Studies) già nella capitale egiziana faceva parte dell’associazione per la difesa dei diritti umani Egyptian Initiative for Personal Rights.

L’attivismo di Zaki è stato anche di tipo politico, contro l’attuale presidente egiziano. Durante le elezioni del 2018, vinte da al-Sisi con oltre il 97% delle preferenze, il ricercatore dell’Università di Bologna è stato tra gli organizzatori della campagna elettorale di Khaled Ali, un avvocato e attivista politico impegnato nella difesa dei diritti umani che si è poi ritirato dalla competizione denunciando il clima di intimidazione, visti i numerosi arresti dei suoi collaboratori. Lo stesso avevano fatto anche altri candidati e in lista era così rimasto contro al-Sisi soltanto il poco noto Moussa Mustafa Moussa, dichiarato ammiratore del generale golpista, che ha ottenuto appena il 2,92% dei voti, facendolo così stravincere non avendo praticamente rivali.

La Premier italiana, Giorgia Meloni, ha annunciato ieri in un videomessaggio che oggi Zaki “tornerà in Italia”. La Presidente del Consiglio ha poi voluto “ringraziare il presidente al-Sisi per questo gesto molto importante”. Attribuendosi, ancora in quel videomessaggio, il merito della risoluzione della vicenda, presentandosi così in questa vicenda come un’altra vincitrice: “Fin dal nostro primo incontro a novembre io ho posto la questione e ho sempre riscontrato da parte sua ascolto e disponibilità”. Infine, la Meloni ha espresso riconoscenza, per “l’intelligence e i diplomatici, sia italiani che egiziani”.

Il caso Zaki, su pressione della società civile e delle organizzazioni dei diritti umani, aveva ulteriormente incrinato i rapporti tra Italia ed Egitto. Prima di questo c’era stato quello di Giulio Regeni, dottorando italiano dell’Università di Cambridge rapito a Il Cairo il 25 gennaio 2016 (giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir della Primavera Araba) e ritrovato senza vita con evidenti segni di tortura il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Quella vicenda si collocava in un contesto di morti in carcere e sparizioni forzate avvenute nell’era al-Sisi in tutto l’Egitto. Per la Procura di Roma (titolare di tutti i casi coinvolgono italiani all’estero), Regeni sarebbe stato arrestato per il sospetto da parte delle forze di sicurezza egiziane che volesse finanziare una rivoluzione.

Governo e autorità locali si sono mostrate sempre poco collaborative sulla morte del dottorando italiano dell’Università di Cambridge, cui si sono aggiunti i depistaggi messi in atto fin dall’inizio per cercare di coprire i responsabili. Ma nonostante ciò il 25 maggio 2021, al termine dell’inchiesta della Procura di Roma sono stati rinviati a giudizio quattro ufficiali del servizio segreto interno egiziano (la National Security Agency): il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. Tra i reati contestati il sequestro di persona pluriaggravato, il concorso in lesioni personali gravissime e ovviamente l’omicidio. Non c’è quello di tortura in quanto introdotto nel codice penale italiano soltanto nel 2017 e che ora il Governo Meloni vorrebbe cancellare.

La fregata Alpino, classe FREMM, nel porto di Genova © Riccardo Arata/Shutterstock.com

A giugno 2019, durante il governo Conte I (5 Stelle e Lega) l’allora Premier italiano parla al telefono con al-Sisi. Palazzo Chigi comunica che l’obiettivo della chiamata era coordinare il (mancato) cessate il fuoco in Libia e per richiedere verità sul caso Regeni. Mesi dopo verrà fuori che durante il colloquio avrebbero invece parlato della vendita di materiale bellico. In particolare di di due fregate militari Fremm, la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi, costruite dal colosso di Stato italiano Fincantieri, il cui contratto verrà effettivamente definito il mese successivo. Già costruite, al momento dell’accordo dovevano essere consegnate alla Marina Militare Italiana (che ha prolungato l’esercizio delle due unità che dovevano sostituire).

Nonostante la mancata collaborazione per risolvere l’omicidio di Regeni e con il caso Zaki in corso, l’esecutivo gialloverde guidato da Giuseppe Conte decide di venderle al generale al-Sisi ad un prezzo di favore: 990 milioni di euro, almeno 210 milioni in meno (se non addirittura 556 secondo altre stime) di quanto le avrebbe pagate lo Stato italiano e quindi i contribuenti. Cui vanno aggiunti i costi degli interessi sui mutui accesi per finanziare il progetto e la spesa per lo smantellamento dei sistemi e delle tecnologie Nato che erano già stati installati sulle due navi (che potrebbero toccare i 400 milioni di euro).

Grazie a quella vendita, nel 2020 l’Egitto si era collocato al primo posto per le autorizzazioni all’export di armamenti italiani, raggiungendo un valore di 991,2 milioni di euro. In quella classifica c’erano poi le petro-monarchie del Golfo, il Qatar al quarto posto e gli Emirati Arabi Uniti all’undicesimo, preceduto al Turkmenistan all’ottavo, al diciannovesimo la Cina. Ma l’Egitto all’Italia non ha chiesto soltanto quelle due fregate. Per il settimanale panarabo The Arab Weekly e varie testate specializzate (Analisi Difesa, NavalNews e altre) al-Sisi mira ad acquistare dal governo italiano per 10,7 miliardi di dollari altre 4 fregate Fremm, oltre a 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon, alcuni velivoli da addestramento M-346 di Leonardo (l’ex Finmeccanica) e un satellite da osservazione.

Con il caso Zaki la trattativa era stata congelata dall’esecutivo Conte II (5 Stelle e Partito Democratico) e dal successivo della Meloni (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia). Se dopo il ringraziamento della premier italiana ad Al-Sisi, il generale avrà quanto richiesto, la grazia a Zaki sarebbe l’altra vittoria ottenuta dal presidente egiziano. Vale forse la pena di ricordare che l’Egitto, oltre alle accuse di repressione interna del dissenso, in Libia sostiene il generale Khalifa Belqasim Haftar che combatte contro il governo di Fayez al-Sarraj sostenuto dalle Nazioni Unite e formalmente anche dall’Italia.

*Nella foto in copertina, Il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi © 360b/Shutterstock.com

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