Bukele e il voto in “stato di eccezione”

Domenica  con il rinnovo di Sindaci e Consigli municipali si concluderà in El Salvador la maratona elettorale iniziata un mese fa

di Gianni Beretta

Domani  con il rinnovo di Sindaci e Consigli municipali si concluderà in El Salvador la maratona elettorale iniziata un mese fa con le presidenziali e le parlamentari. Anche qui l’esito è scontato in favore di Nuevas Ideas del 42enne Nayib Bukele, che per farsi rieleggere ha violato la carta magna che ne proibiva tassativamente la ricandidatura. Bukele, oltre a ridurre i seggi nell’Assemblea Legislativa da 84 a 60, ha drasticamente sforbiciato i Comuni da 262 ad appena 44 ad immagine e somiglianza della propria formazione politica.

Naturalmente pure questo terzo appuntamento si celebrerà in pieno “stato di eccezione”, in vigore da quasi due anni con la sospensione delle garanzie costituzionali e la militarizzazione di fatto del Paese. Ma quel che più sconcerta è che tali consultazioni locali hanno rischiato di slittare a data da destinarsi per l’infinito ritardo dei dati ufficiali delle prime due. Così che quella che per Bukele avrebbe dovuto essere una trionfale e plebiscitaria riaffermazione si è convertita in un incredibile flop. Lo scorso 4 febbraio infatti, solo due d’ore dopo la chiusura dei seggi e accompagnato dalla consorte, era già apparso solennemente dal balcone del Palacio Nacional autoproclamandosi vincitore con l’85% delle preferenze, facendo appena in tempo ad annunciare che il suo partito aveva ottenuto 58 deputati su 60. Quando il sistema informatico di conteggio è andato in tilt senza mai più riprendersi.

C’è voluta un’intera settimana perché arrivassero i risultati che lo confermavano alla massima carica dello stato con un 82%. Ma a quel punto “presunto” visto che nel frattempo ai seggi e nella sede centrale dello scrutinio (invasi da militanti della sua organizzazione) si erano consumate infinite irregolarità: furti di urne, manomissione di schede e plateali inosservanze delle procedure. Con gli osservatori dell’Organizzazione degli Stati Americani a denunciare la “mancanza di controlli da parte del Tribunale Supremo Elettorale (TSE)”, scavalcato dall’“atteggiamento dominante e intimidatorio dei rappresentanti di Nuevas Ideas”; oltre agli “innumerevoli malfunzionamenti logistici”. E raccomandandosi di “correggere e non ripetere i malfunzionamenti logistici” in vista delle imminenti elezioni amministrative. Solo qualche giorno fa, in extremis, è arrivato il verdetto delle parlamentari secondo il quale Nuevas Ideas avrebbe accresciuto il controllo dai due/terzi ai tre/quarti degli scranni (54 su 60) assicurando a Bukele la (in ogni caso) arbitraria subalternità del potere giudiziario sin qui goduta; potendo nominare, fra gli altri, Corte Suprema di Giustizia, Corte dei Conti e TSE.

Ma chi può garantire che quella super maggioranza sia stata reale? Non che sia in discussione il successo di Bukele e del suo partito, che hanno ridotto ai minimi termini l’antico bipartitismo con i due seggi alla destra di ARENA e lo “zero” all’ex guerriglia del Frente Farabundo Martì (tra le cui fila era stato peraltro eletto Sindaco della capitale nel 2015 per poi esserne espulso). E soprattutto, quanti salvadoregni sono andati effettivamente a votare? Il 52%, come sostiene il suo entourage? O, a fatica, il 40% come indicano più affidabili fonti indipendenti? O si sarebbe registrato addirittura un 71% di astensionismo (comprendendo schede bianche e nulle) come assicurano gli oppositori più critici (che ne chiedono l’annullamento)? Non si saprà mai. Salvo comprendere, a posteriori, perché un preoccupato Bukele, ben prima che chiudessero i seggi e violando il silenzio elettorale, fosse apparso in tv alla nazione esortando di recarsi alle urne.

Insomma un gran caos del sistema elettorale, montato paradossalmente dal primo presidente millennial latinioamericano, iper twittero/informatico/digitale; ridotto a contare i voti manualmente, uno per uno. Mettendo in seria discussione il consenso e la credibilità che gli davano i sondaggi della vigilia. Che si era guadagnato ficcando in galera 74mila giovani delle pandillas che controllavano a suon di estorsioni e violenza le disperate periferie delle città. Certo col risultato di far precipitare il tasso di omicidi per centomila abitanti. Ma convertendo El Salvador nel Paese al Mondo con la più alta percentuale di popolazione (l’1,4%) in carcere.

Viene da chiedersi poi quanti di quei detenuti (12enni compresi) siano effettivamente colpevoli, se sottoposti a indagini e processi sommari di gruppo. Con le varie entità internazionali a denunciare la sistematica violazione dei più elementari diritti umani. Di cui sono rimasti vittima anche la società civile organizzata e i giornalisti della libera stampa, costretti via via ad abbandonare il paese. Come l’intera redazione di El Faro, primo periodico digitale dell’America Latina; e il suo direttore Carlos Dada.
In questo modo il “dittatore più cool”, come si autodefinisce Bukele, è assurto col suo corrotto clan (pure familiare) a modello per altri neopresidenti ultrapopulisti del subcontinente quali l’argentino Javier Milei o l’ecuadoriano Daniel Noboa. Celebrando ora con orgoglio “il record della prima democrazia al mondo a partito unico”. Anche se il suo riconfermato vice, Felix Ulloa, in una precedente intervista al New York Times aveva parlato di “eliminazione della democrazia”. Che è poi la stessa cosa. E comunque rilanciando i suoi tratti conservatori come la difesa della legge che proibisce l’aborto in El Salvador (con una trentina di giovani donne in carcere) e rilanciando ringalluzzito l’altro giorno la messa al bando di ogni “ideologia di genere” nelle scuole.

Ma il trionfalismo elettorale di Bukele ha finito col convertirsi nella sua nemesi, come ha sottolineato il padre Rodolfo Cardenal, direttore del Centro Oscar Romero dell’Università Centroamericana dei gesuiti di San Salvador, anch’essa sotto il mirino dell’aspirante autocrate. Il quale “senza averne bisogno ha messo a repentaglio la propria popolarità con approssimazione, dilettantismo e delirio di potere; eccedendo nell’uso della manita (manina) come ai tempi dei passati regimi militari”. Proprio lui che da “negazionista” ha definito gli accordi di pace del 1992 (dopo dodici anni di sanguinosa guerra civile) “l’evento più ipocrita della nostra Storia, per la glorificazione di un patto fra gli assassini del nostro popolo che poi si sono spartiti la torta”.
Così che dal primo giugno prossimo (data di reinsediamento per un secondo quinquennio) al campione dell’antipolitica Bukele, cui deve essere riconosciuto di aver risollevato i salvadoregni in quanto a sicurezza (ma al prezzo di un azzeramento dello stato di diritto) non resta che una sola alternativa per recuperare in credibilità. Abolire la normalità dello “stato di eccezione”. E darsi da fare per migliorare le miserie condizioni di vita dei salvadoregni, perennemente condannati a campare alla giornata in un Paese dove l’economia informale supera il 60%.

Ma non ripartendo pacchi di alimenti regalati dai cinesi come durante la recente campagna elettorale. O prendendo a prestito dal Fondo pensioni nazionale denari per l’erario pubblico. E men che meno ricorrendo a scorciatoie fallimentari come l’aver dato corso dal 2021 (prima nazione al Mondo) al bitcoin, illudendosi che le rimesse familiari degli emigrati (che ammontano al 26% del pil) sarebbero entrate nell’opaco e speculativo circuito delle criptomonete. Con tanto di curioso gemellaggio con la piazza finanziaria svizzera di Lugano. Bensì introducendo finalmente qualche imposta diretta sui settori oligarchici che di tasse (a quelle latitudini) non ne hanno quasi mai pagate. Per ridurre disuguaglianze sociali pazzesche sulle quali, nel suo primo mandato, non ha fatto pressoché nulla. Per ora, dopo aver criticato nel passato le pluripostulazioni dei vicini Daniel Ortega in Nicaragua e dell’ex narcopresidente dell’Honduras Juan Orlando Hernández, Bukele si è solo limitato a promettere che non si ricandiderà per una terza volta. Gli basta “incamminare El Salvador in questo percorso di cambiamento irreversibile”.

In copertina: Bukele (sito ufficiale della Presidenza)

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