Alle origini della marcia dall’Honduras – 2

Cosa c'è dietro la carovana che dal Centroamerica tenta di raggiungere gli Usa.  La seconda puntata  di un’analisi su un fenomeno annunciato

di Maurizio Sacchi

Mentre la guerra di annunci veri o falsi continua sui media, la carovana partita dall’Honduras avanza. Ai circa 10.000 partecipanti mancano ancora 1.600 chilometri per raggiungere il punto di frontiera più vicino, la città di McAllen, in Texas, ma il viaggio potrebbe raddoppiare se i migranti si dirigono verso il passo Tijuana-San Diego, la destinazione di una più piccola carovana partita all’inizio dell’anno. In quell’occasione solo circa 200 persone raggiunsero il loro obiettivo.

In un’ulteriore escalation di fake news, il presidente Trump ha dichiarato addirittura che in essa si sarebbero infiltrati elementi terroristi “provenienti dal Medio Oriente”, che tenterebbero di eludere così i controlli. di frontiera statunitensi. Ha poi dovuto ammettere che non ha prove per sostenere questa dichiarazione; ma l’obiettivo è quello di influenzare il voto di mid-term del 6 novembre, e certamente la diffusione di una psicosi sugli stranieri fa il gioco dei repubblicani. Ma come è avvenuto che, dopo decenni di violenza politica, la crisi sia scoppiata proprio ora, che i vari fronti di guerriglia centroamericana non rappresentano più una minaccia?

L’epopea del narcotraffico

Pablo Emilio Escobar Gaviria il re dei narcos. Le maras centroamericane diventano la nuova manodopera del traffico

La risposta va cercata nel traffico di stupefacenti che, se nei tempi di Escobar si muoveva principalmente nel Mar dei Caraibi, per nave o per aereo, ora transita principalmente per via di terra. Traversando appunto i Paesi del Centro America, e in particolare il “triangolo del Nord”, ovvero Honduras, Guatemala e Salvador. La violenza legata alla droga è tanto un fatto comune della vita nel Triangolo del Nord dell’America Centrale quanto lo è in alcune parti della realtà urbana nordamericana. Ma il suo impatto in questi piccoli Paesi centroamericani è enorme, con il 10% della popolazione di Guatemala, Honduras e El Salvador che secondo il Consiglio Atlantico di Washington. think tank della Nato, è fuggito  dalla violenza e dalla povertà e insicurezza sociate.

Tutto ciò no ha nulla di casuale: gli allarmi su quanto stava succedendo si sono succeduti a ogni nuova presidenza USA, e la risposta non solo non è consistita in alcuna vera lotta alla penetrazione dei cartelli nell’Istmo, ma anzi il fenomeno è stato portato al punto attuale di crisi proprio dalla deportazione delle maras (bande giovanili) dagli Stati Uniti – dove si erano formate nelle comunità migrate al Nord –  nei paesi d’origine. Fornendo così la “mano d’opera” necessaria ai narcos per garantirsi un passaggio sicuro della droga in quei Paesi.

La storia della penetrazione dei cartelli nella società e nelle istituzioni di questi Paesi è lunga, e gli episodi di corruzione e di inquinamento degli alti comandi degli eserciti locali si sono ripetuti con frequenza. Ma la politica degli Stati Uniti è stata spesso quella di appoggiare comunque le élite al potere, specialmente se esse si dichiaravano apertamente di estrema destra. E quando nel 2009 in Honduras un colpo di stato depose il presidente eletto Manuel Zelaya, Obama mandò un messaggio alla giunta che aveva preso il potere, dichiarando che non era più accettabile il sovvertimento dei risultati elettorali da parte delle forze armate, la reazione dei portavoce militari fu di stupore.

In Guatemala Perez Molina, un ex militare, vinse le elezioni presidenziali del 2012 anche grazie a una campagna in cui promise la legalizzazione della droga, come mezzo per mettere fuori gioco i cartelli. Ma una volta diventato presidente, la politica riguardo al traffico non cambiò. E alla fine Perez Molina dovette fronteggiare le accuse di genocidio delle comunità indigene, pervenute alle Nazioni Unite anche grazie a Rigoberta Menchù, che mostravano chiaramente il suo collegamento con la più reazionaria linea dell’esercito del Guatemala negli anni della guerra sporca.

Gli effetti della guerra e lo strapotere delle élite

Dopo la pace del 1996, insomma, la vita degli abitanti del Centro America non è certo divenuta pacifica. E questa carovana, che si avvicina ormai al confine del Messico con gli Stati Uniti, è solo un modo di rendere evidente un fenomeno già in corso da molti anni: una fuga da una zona di guerra, che ha scelto di mostrarsi al mondo, anziché sparire nelle correnti carsiche dell’immigrazione illegale. E che è stata ampiamente sfruttata dalle reti sudamericane del narcotraffico con l’appoggio di parte dell’élite civile e militare

La prima puntata è uscita il 24 ottobre

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