Colombia: sulla frontiera la strada per la Pace è ancora lunga (6)

Il Catatumbo, una regione di confine fuori controllo, l’attesa delle decisioni governative del Venezuela e la moneta come souvenir nell’ultimo reportage dalla missione di Intersos

di Alice Pistolesi dalla Colombia

Pace cercasi disperatamente. Il cammino verso la pacificazione in Colombia si presenta ancora molto lungo in buona parte del Paese e, in primis, lungo la frontiera con il Venezuela.

Catatumbo: una regione fuori controllo

Nel Catatumbo si vive la condizione peggiore. Una condizione che, secondo molti, dal processo di Pace è addirittura peggiorata perché ha rafforzato i gruppi che non hanno preso parte all’accordo, i paramilitari e i narcotrafficanti. La zona, composta da otto municipi nel dipartimento di Norte Santander, è ricca di risorse naturali come petrolio, nichel e di coltivazioni di coca. Lo Stato colombiano non arriva nel Catatumbo: l’area è totalmente nelle mani dei gruppi guerriglieri che si contendono ricchezze e potere. I pochissimi militari presenti sono trincerati nelle basi: negli ultimi anni sono stati più di dieci gli attentati subiti.

Attivi almeno trenta tra gruppi o cellule armate. Tra questi i guerriglieri colombiani più o meno storici: i dissidenti delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia ), l’Eln (Esercito di Liberazione Nazionale), l’Epl (Esercito popolare di Liberazione ), il gruppo di autodifesa Gaitanistas (una forza paramilitare), e altre formazioni narcotrafficanti come i Pelusos (che negli ultimi anni si sono guadagnati la fama di più sanguinari) e il Clan del Golfo, di cui pochi giorni fa è stato catturato uno degli esponenti. Un arresto, quello di Dario Antonio Úsuga David, detto Otoniel, che ha allertato le istituzioni. La Defensorià del pueblo ha infatti diramato un allarme il 23 ottobre nel quale annuncia di rafforzare i controlli nella regione di Urabà.

L’area del Catatumbo non conosce sviluppo: le strade non sono pavimentate, gli attacchi alla popolazione civile sono frequenti, gli sfollati moltissimi e in varie parti sono state posizionate mine antiuomo. Ma come spesso accade dove lo Stato non arriva, la popolazione locale (sono circa 500mila gli abitanti della regione) vede nella guerriglia una soluzione. Molti sono infatti coloro che, per volontà o per paura, supportano i guerriglieri fornendo informazioni sugli spostamenti della polizia, fornendo cibo. La pulizia sociale, inoltre, è garantita: non ci sono furti, rapine, spaccio. Tutti i veicoli che arrivano nell’area, nel Catatumbo così come nella regione di Arauca, devono avere la ‘vacuna’, ovvero essere ‘vaccinati’ da uno o dall’altro gruppo per poter circolare. Ad Arauca questa ‘tassa’ è annuale.

Intersos è arrivata nel Catatumbo il 24 ottobre per la prima missione nell’area. Una piccola carovana composta da mezzi della ong e di Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) è approdata nella zona per consegnare filtri per acqua potabile, kit igienici e zanzariere a oltre cento famiglie. A lungo anche alle organizzazioni umanitarie era impedito l’accesso e sono tuttora pochissime quelle che entrano.

La missione di Intersos nel Catatumbo

In questo contesto i migranti si trovano in una posizione di vulnerabilità estrema: in molti vengono reclutati tra le fila delle bande di narcotrafficanti, mentre le donne finiscono nella tratta transnazionale o vengono sfruttate sessualmente dagli stessi gruppi.

L’attesa sulla frontiera

Sul fronte migratorio si respira di attesa. Il flusso è infatti estremamente variabile e gli operatori umanitari si aspettano che da un momento all’altro si possa tornare a numeri ingenti di arrivi. Con l’arrivo della pandemia il governo del Venezuela ha infatti ‘organizzato’ il flusso dividendo il mese in due settimane di flessibilità (in cui i passaggi di migranti sono maggiori e le guardie di frontiera chiudono uno (o due) occhi, anche rispetto alle trochas, i passaggi illegali) e due di rigidità, durante le quali il transito è estremamente limitato. Un metodo che viene giustificato dalle autorità venezuelane come mezzo per contenere il contagio, ma nella realtà quella che si vuol contenere è la diaspora. “La Colombia – dice una guardia di frontiera sul ponte Internazionale di Arauca – ha mantenuto le porte aperte come sempre. Aspettiamo di capire cosa farà il Venezuela”.

Quando la moneta diventa un souvenir

Nei giorni di missione abbiamo sentito ripetere fino alla nausea che in Venezuela manca tutto: cibo, medicine, trasporti, ma anche soldi. La moneta locale è diventata carta straccia con la quale si costruiscono borsette, soprammobili e portachiavi da vendere nei banchetti per le strade delle città di frontiera. Nel Paese bolivariano si paga solo in dollari. Che nessuno ha.

Una bancarella di oggetti realizzati con i Bolívar venezuelani (foto di Alice Pistolesi)

I reportage sulla diaspora venezuelana in Colombia:

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