Dietro l’accordo sul gas Italia-Libia

Un progetto ambizioso in un Paese diviso e instabile. E motovedette per "salvare" i migranti  

di Maurizio Sacchi

Sabato 28 gennaio l’Eni e la compagnia petrolifera statale libica Noc hanno concluso un accordo da 8miliardi di dollari per la produzione di gas naturale in Libia. L’accordo é stato firmato dall’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi, e rientra nella visita del Presidente del consiglio Giorgia Meloni. Ma l’instabilità del Paese – che continua ad avere due governi, uno riconosciuto a Tripoli e uno a Tobruch – ne complica il ruolo di fornitore affidabile di idrocarburi. Infatti, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che era con la Meloni il 28 gennaio, ha detto che “la stabilizzazione della Libia è cruciale, è al centro dei nostri colloqui con tutti gli attori che sul quel Paese esercitano un’influenza”.

Un’altra intesa prevede il rafforzamento della cooperazione tra le autorità italiane e quelle libiche sul controllo dei flussi migratori. In particolare, sull’invio di 5 motovedette alle autorità libiche per il “salvataggio” e la “regolamentazione” dei migranti. “È stato firmato un memorandum d’intesa tra i ministri degli Esteri dei due Paesi per supportare la Libia con cinque imbarcazioni attrezzate nel campo della ricerca e soccorso di migranti in difficoltà in mare”, annuncia soddisfatto il premier libico Abdul Hamid Dbeibah. Questo spiega la presenza a Tripoli del Ministro degli Interni Matteo Piantedosi, che pochi giorni prima aveva dichiarato: “c’è questa coincidenza astrale: la presenza delle navi delle ong, insieme alle condizioni climatiche, fanno ripartire i gommoni dalla Libia, anche le imbarcazioni più fragili”. “(…) Noi ci lamentiamo di questo, loro sì lamentano della lunga percorrenza” [per raggiungere i porti assegnati].

L’accordo tra Eni e National Oil Corporation riguarda lo sviluppo di due giacimenti di gas al largo delle coste della Libia, chiamati “Struttura A” e “Struttura E”. La produzione inizierà solo nel 2026 e raggiungerà un plateau di 21milioni di metri cubi al giorno, ha dichiarato Eni in un comunicato. Il gas estratto verrà destinato sia al mercato interno libico, sia all’esportazione verso l’Italia. Il responsabile della Noc, Farhat Bengdara, ha definito l’accordo di 25 anni come il più importante nuovo investimento nel settore energetico libico da un quarto di secolo a questa parte.

Il piano dell’Eni prevede la costruzione di un impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica a Mellitah, dove si trovano gli stabilimenti per il trattamento del gas prima della sua esportazione. Le piattaforme operative dei giacimenti “Struttura A” e “Struttura E” dovrebbero essere poi collegate a questo complesso. Ma gli accordi raggiunti a Tripoli potrebbero essere compromessi dal conflitto interno libico, che ha diviso il Paese tra fazioni rivali che si contendono il controllo del governo e si contestano reciprocamente la legittimità politica. Anche all’interno del governo di Tripoli si registrano divisioni e lo stesso Ministro del Petrolio del governo di Dbeibah, Mohamed Oun, ha respinto qualsiasi accordo che la Noc potrebbe stringere con l’Italia, affermando in un video sul sito web del Ministero che tali accordi dovrebbero essere presi dal Ministero stesso. Prevedibilmente, anche la parte Est della Libia, controllata dal generale Haftar, si oppone all’accordo. 

La Libia rimane politicamente e territorialmente divisa fra due governi rivali. La capitale Tripoli ed il nord ovest del Paese sono controllati dal Governo di unità nazionale (Gnu), attualmente guidato del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, con cui l’accordo é stato firmato. Il governo di Tripoli è riconosciuto a livello internazionale e occupa il seggio della Libia alle Nazioni Unite e all’Unione africana, Dbeibah è una figura politica che rappresenta un compromesso fra i poteri forti dell’ovest, che includono le milizie islamiste di Tripoli e Misurata e interessi economici legati a reti di clientelismo.

L’est del Paese e vaste zone della Libia centrale é sotto l’autorità formale di Fathì Bashagha, che nel 2022 era stato designato Primo ministro. Ma l’attuale premier e firmatario dell’accordo Abdul Hamid Dbeibeh ne ha rifiutato la nomina affermando che avrebbe ceduto il potere solo dopo le elezioni nazionali. Invece il generale  Khalifa Haftar e il suo Esercito Nazionale Libico hanno accolto con favore la nomina di Bashagha. In realtà, è il generale Khalifa Haftar a governare questi territori in modo autoritario.

Entrambi i governi si reggono su forze militari e paramilitari locali, ma anche su complesse alleanze internazionali, sostanzialmente guidate dagli interessi economici legati agli idrocarburi. Il governo di Tripoli ha l’appoggio militare della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. La Russia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono invece i principali alleati di Haftar. La Libia vive di petrolio: nel 2021, i profitti da idrocarburi hanno rappresentato il 98% delle entrate pubbliche, secondo dati della Banca centrale della Libia. Le autorità di Tripoli controllano la compagnia petrolifera nazionale, la National Oil Corporation (Noc) e la Banca centrale riscuotono quindi la totalità dei proventi della produzione di idrocarburi. Ma la parte del Paese controllata da Haftar detiene l’intera “mezzaluna del petrolio” nell’est del paese, e i cinque principali porti petroliferi della Libia: ad esempio Sider, Ras Lanuf, Zueitina, Brega e Hariga. Mentre gli altri due principali porti petroliferi, Mellitah e Zawiya sono sotto l’autorità del governo “ufficiale”.

Haftar non può vendere il petrolio direttamente sui mercati internazionali ma può bloccare fino al 75% della produzione e dell’esportazione, cosa che ha fatto ripetutamente negli anni per forzare il governo di Tripoli a cedergli una percentuale dei proventi. Sarebbe proprio un accordo segreto fra Haftar e Dbeibah, probabilmente mediato dagli Emirati Arabi Uniti,  a portare alla nomina di Farhat Bengdara al posto di direttore della Noc nel luglio 2022. I termini dell’accordo non sono pubblici ma da quando Bengdara ha preso le redini della Noc la completa ripresa della produzione e delle esportazioni di petrolio in tutta la mezzaluna dell’est indica che Haftar sta incassando una percentuale dei proventi.

Ad oggi il 60% dell’output gasifero libico viene destinato alla generazione elettrica domestica, e un ulteriore 25% viene consumato dal settore industriale nazionale. Solo il 15 per cento viene  esportato in Italia attraverso la condotta Greenstream, che raggiunge Gela (in Sicilia) e possiede una capacità annua di circa 8miliardi di metri cubi. La tubatura è però sotto-utilizzata: nel 2022 ha infatti trasportato in Italia solo 2,6miliardi di metri cubi di gas libico, e 3,2miliardi nel 2021. Questi bassi volumi risentono sia degli scarsi investimenti della Libia nelle infrastrutture energetiche, sia delle difficoltà del paese a mantenere operativo il settore degli idrocarburi a causa della forte instabilità interna.

Trovandosi al largo delle coste di Tripoli, le attività nei giacimenti “Struttura A” e “Struttura E” dovrebbero tuttavia risentire di meno delle interruzioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato i lavori nei campi di petrolio e di gas sulla terraferma. L’accordo tra Eni e Noc rientra nel cosiddetto “piano Mattei“, il progetto energetico-politico del governo Meloni con i paesi del Nordafrica e del Mediterraneo orientale, che ha l’obiettivo sia di garantire la sicurezza energetica italiana dopo il distacco dalla Russia, sia di trasformare la nostra penisola in un polo di distribuzione del gas verso l’Europa del nord, dove si trovano le Nazioni a maggiore consumo.

*In copertina foto di HungryBild on shutterstock

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