di Alice Pistolesi
Non si tratta solo di nucleare sì o nucleare no. L’accordo stipulato tra Iran, i cinque membri permanenti dell’Onu e l’Unione Europea significa molto di più e va ad incidere, oltre che sulla già precaria stabilità dell’area, anche sui rapporti internazionali delle parti in causa.
Il futuro dell’accordo è ad oggi incerto. Dopo l’annuncio del ritiro dal patto stipulato nel 2015 il presidente Trump ha infatti quasi compiuto marcia indietro rinunciando ad introdurre sanzioni contro l’Iran ma dando un ultimatum di 120 giorni in primis all’Unione europea.
Un ultimatum in dodici punti presentato dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo, al quale l’Iran ha prontamente risposto.
Oggi Al jazeera riporta le parole del leader iraniano Khamenei che ha così commentato i dodici punti stabiliti dagli Usa: “La Repubblica islamica non può trattare con un governo che viola facilmente un trattato internazionale, ritira la sua firma, e in uno spettacolo teatrale si vanta del suo ritiro in televisione”.
E ancora: “L’attuale presidente degli Stati Uniti incontrerà la stessa sorte dei suoi predecessori, Bush e i neoconservatori e Reagan, e svanirà dalla storia”. Reazione prevedibili, viste le richieste praticamente irricevibili avanzate dagli Stati Uniti.
L’ultimatum in sintesi
Il testo chiede all’Iran di “dismettere il programma nucleare, chiudere i reattori, interrompere l’arricchimento dell’uranio, consentire il totale accesso all’Agenzia internazionale per l’energia atomica in ogni parte del Paese e fornire un dettagliato e aggiornato resoconto del programma finora portato avanti”.
Oltre al nucleare, però, Washington ha avanzato altre richieste. Tra queste c’è l’interruzione del programma missilistico e la liberazione di tutti i prigionieri americani e dei Paesi alleati.
Gli Usa chiedono poi di bloccare i (presunti) finanziamenti ad Al Qaeda e altri gruppi terroristici e di “interrompere l’appoggio a Hezbollah, Hamas, la Jihad islamica palestinese”, agli Houti in Yemen, ai talebani in Afghanistan, oltre a lasciare la Siria e non interferire in Iraq. Gli Usa hanno poi richiesto di smantellare le forze Quds dei Guardiani della Rivoluzione e di fermare ogni attività che destabilizzi il Medio Oriente.
Khamenei chiama Europa
Il leader iraniano ha chiamato in causa l’Europa. “Le banche europee dovrebbero salvaguardare gli scambi con la Repubblica Islamica. Non vogliamo iniziare una lotta con questi tre paesi (Francia, Germania e Gran Bretagna) ma non ci fidiamo neanche di loro”.
Sul sito ufficiale dell’Ayatollah Ali Khamenei si legge che “le potenze europee devono continuare ad acquistare petrolio greggio, proteggere le vendite di petrolio iraniano dalla pressione degli Stati Uniti”.
E ancora: “L’Europa dovrebbe garantire pienamente le vendite petrolifere dell’Iran, nel caso in cui gli americani possano danneggiare le nostre vendite di petrolio … Gli europei dovrebbero recuperare e comprare petrolio iraniano”.
Anche Khamenei ha lanciato a sua volta uni ultimatum avvertendo che se gli europei non risponderanno a queste richieste, l’Iran riprenderà l’arricchimento di uranio.
In questo clima, tutt’altro che disteso un alto funzionario militare iraniano, il generale Mohammad Bagheri, ha detto che l’Iran non si piegherà alle pressioni di Washington per limitare le sue attività militari. Gli Stati Uniti “non hanno il coraggio dello scontro militare e della guerra faccia a faccia con l’Iran”.
L’Europa risponde
Secondo l’Unione Europea l’accordo sul nucleare iraniano funziona. A dirlo il capo della diplomazia europea Federica Mogherini al termine dell’incontro con il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, oltre alla Francia, la Gran Bretagna e la Germania.
“Quest’accordo di non proliferazione è essenziale e non ci sono alternative – ha detto il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian -. È importante che tutte le parti coinvolte rispettino quest’impegno comune e, di conseguenza, che lo rispettino anche i nostri alleati americani”.
In cosa consisteva l’accordo sul nucleare iraniano
Il Piano d’azione congiunto globale (Joint Comprehensive Plan of Action), noto come accordo sul nucleare iraniano, è un accordo internazionale sull’energia nucleare in Iran.
Il patto, raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015, è stato stilato tra l’Iran, il P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, più la Germania), e l’Unione europea.
Con l’accordo l’Iran ha accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, di tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento e di ridurre le sue centrifughe a gas per tredici anni.
Per quindici anni l’Iran potrà arricchire l’uranio solo al 3,67% e ha pattuito di non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante.
Le attività di arricchimento dell’uranio saranno limitate a un singolo impianto utilizzando centrifughe di prima generazione per dieci anni. Altri impianti saranno convertiti per evitare il rischio di proliferazione nucleare.
Incaricata di monitorare e verificare il rispetto dell’accordo da parte dell’Iran, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). L’accordo prevedeva che in cambio del rispetto dei suoi impegni, l’Iran avrebbe ottenuto la cessazione delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a causa del suo programma nucleare.