Dopo Elisabetta, Regno non più unito?

Le spinte indipendite di Scozia, Galles, Irlanda del Nord. Il ruolo della Brexit

di Maurizio Sacchi

La morte della regina Elisabetta II ha casusato forte emozione, oltre che nel resto del Pianeta, soprattutto nel Regno unito, che, come hanno sottolineato media e politici mondiali, vi riconosceva al tempo stesso la continuità, e il collante che teneva insieme le quattro nezioni che lo compongono: la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord, oltre all’Inghilterra. Le spinte independiste delle tre nazioni sorelle hanno avuto un impulso in tempi recenti, specialmente per le conseguenze della Brexit, mal digerita da Scozia e Irlanda del Nord, e anche  in Galles, con modalitò diverse. 

Dafydd Elis-Thomas, speaker del partito nazionalista gallese Senedd ha dichiarato in un’intervista” Ha senso che una nazione democratica e decentrata come il Galles abbia un principe?” E ha aggiunto che chiederà   che il titolo di “Principe di Galles” venga ritirato dopo la morte della Regina Elisabetta II. Principe di Galles é per tradizione il principe ereditario britannico, ed é il titolo che Carlo, ora re Carlo II, ha lasciato al momento di salire al trono. Elis-Thomas si é reso conto che una dichiarazione simile, al momento della morte della venerata sovrana, avrebbe destato scandalo; ma ha aggiunto che ormai lo aveva detto. “Non l’ho mai detto pubblicamente prima d’ora e ora mi troverò nei guai”.E definire “indipendente” il Galles é certamente una mossa più rilevante che chiedere l’abolizione di un titolo onorifico. 

Per quanto riguarda la Scozia, al momento la commozione ha il sopravvento, dato che la Regina é deceduta proprio qui, nella sua residenza privata di Balmoral. E per i primi 5 giorni dopo il decesso il protocollo prevede che la salma  rimanga in Scozia, con varie cerimonie di celebrazione. Ma appena l’onda emotiva si placherà, vi sono questioni rilevanti che non mancheranno di farsi sentire. I partiti di opposizione hanno criticato il ministro delle finanze ad interim, John Swinney,  per non aver utilizzato i 20 milioni di sterline accantonati per un secondo referendum sull’indipendenza. Swinney si é giustificato con le condizioni precarie delle casse dello Stato scozzese,  annunciando tagli e riallocazioni di bilancio, che includono 53 milioni di sterline dai programmi per l’occupazione, 56 milioni di sterline dal processo di autorizzazione ScotWind, precedentemente destinati a progetti di energia verde, e 33 milioni di sterline previsti per i fondi agricoli.

Questo malumore, accentuato dalle dichiarazioni di insediamento del nuovo Primo ministo Liz Truss, che annuncia tagli delle tasse accompagnati da simmetrici tagli nella spesa pubblica, :si aggiunge alla diffusa avversione alla Brexit, che esclude la Scozia dall’Unione europea. A cui chiederebbe di tornare, se il secondo referendum per l’indipendenza dovesse avere successo. Non mette in discussione l’Unione la controversia scozzese con il Ministero della Difesa britannico. Ma mette in evidenza le contraddizioni che l’ambigua situazione della Scozia nell’ambito del Regno unito. Una commissione congiunta ha sostenuto che, mentre la difesa è una questione interamente riservata al governo britannico, le decisioni sulle basi militari in territorio scozzese possono avere implicazioni significative peri servizi decentrati  come la salute, i trasporti e l’istruzione.

I deputati scozzesi dell’opposizione hanno esortato il governo britannico ad adattare l’approccio adottato per le decisioni sulle basi in Inghilterra, riconoscendo i diversi quadri normativi in Scozia e il ruolo del governo scozzese nelle aree politiche devolute.

.“Per troppo tempo il governo britannico ha trascurato l’importante ruolo che il governo scozzese ha in termini di servizi pubblici e il modo in cui le decisioni in materia di basi militari prese a Whitehall possono avere un impatto significativo su tali aree; sanità, trasporti, istruzione”.

E per quanto riguarda l’Irlanda del Nord, che vive una situazione particolare, visto che confina con l’Eire, e quindi con l’Unione europea, e che con essa ha rapporti commerciali che rendono impossibile una frontiera autentica, la spinta indipendentista potrebbe trovare una spinta ancor maggiore, sia su basi economiche, che per tutti i legami culturali che malgrado tutto legano gli irlandesi. Potrebbe essere l’inizio della fine per il Regno unito, almeno come lo  abbiamo conosciuto.

Una svolta epocale piena di implicazioni, anche sentimentali. L’autorevole Guardian di Londra scrive:

Povera vecchia Gran Bretagna. La nazione è sprofondata in 10 giorni di lutto. Dopo un susseguirsi di crisi – Brexit, Covid-19, Partygate, quattro primi ministri in sei anni – ora uno degli ultimi simboli di stabilità se ne va con la scomparsa della Regina Elisabetta II. Il Paese sta vivendo tempi di grandi cambiamenti”.

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