S’uccide in nome di Dio, in Afghanistan. In nome del Dio della guerra che ha reso il Paese un crocevia dei conflitti dell’Asia. Emanule Giordana, docente di cultura indonesiana all’IsMEO di Milano e portavoce della piattaforma “Afgana”, ha raccolto le false “guerre sante” in un libro che si chiama appunto “Il Dio della guerra”. Editorialista del quotidiano “Terra” e cofondatore di Lettera22, è un collaboratore dell’Atlante dei conflitti. La guerra che racconta ad Assaman è l’infinito conflitto di Kabul.
A chi ci si appoggia prima di partire sul campo?
Ogni possibilità è buona: diplomatici conosciuti per caso, amici giornalisti, organizzazioni internazionali, Ong…tassisti. Privilegio persone coinvolte in associazioni della società civile se ho la fortuna di averle già incontrate o mi vengono segnalate: di solito conoscono molto bene la realtà locale e a prezzi accessibili
Qual è stato un momento di difficoltà in Afghanistan?
Sempre e mai. A parte la situazione di pericolo fisico (ad esser sincero mi è capitato più da cittadino che da giornalista) la difficoltà è una condizione fissa, che appare da subito, già nel momento in cui si deve fare il visto. E’ figlia soprattutto della fretta, la maledizione di questo mestiere. Ci si abitua a fare un respiro e farla sembrare meno grande di com’è
Cosa significa, per lei, “Esportare la democrazia”?
Sono favorevole all’esportazione che è il sale del commercio: cipolle, patate e, perché no, idee. Ma a patto che ci sia chi le vuole comprare (le cipolle) o ascoltare (le idee). Esportate la democrazia invece è un concetto che significa trapiantare altrove una specia non autoctona senza chiedere il permesso. Non mi piace. E vale per le idee ma anche per le cipolle
Qual è la situazione che più l’ha colpita in Afghanistan?
Vedere un uomo chiedere la carità in un Paese dove l’orgoglio maschile è un principio fondativo dell’identità afgana. La guerra e la miseria portano anche a questo. La vostra dignità per un piatto di riso da portare a vostro figlio. Mi ci sono visto.
Esiste ancora un’etica giornalistica, specialmente quando si ha a che fare con la popolazione che vive una situazione complessa e drammatica?
L’etica giornalistica (racconta quel che vedi in modo semplice e snza imbrogliare il lettore) esiste sia che tu racconti Lazio-Roma, sia che tu sia in un’aula di tribunale; al funerale di un miliardario, al matrimonio di un poveraccio. Ce l’hai o non ce l’hai. Tutti sanno che esiste e cosa significa e funziona ieri come oggi. Tenere la schiena dritta non è un problema contemporaneo. Ci provi oppure ignori.