di Ambra Visentin
Improvvisamente nei libri di scuola russi si parla della “bellezza” delle sanzioni imposte dal mondo occidentale. In questi giorni negli istituti scolastici è stato introdotto del materiale didattico, in cui le “punizioni” decise a livello internazionale sono rappresentate come una grande opportunità di crescita per il Paese. In un’ottica opposta alla logica degli economisti occidentali le misure sarebbero “stimolanti” per il mercato interno. Con un’operazione tanto ardita quanto curiosa, il Cremlino ha imposto testi e video volti ad istruire le giovani menti “sull’utilità delle sanzioni”. La nuova “filosofia” passa dall’istruzione considerando forse lo scenario internazionale che sembra si possa profilare. La speranza di Vladimir Putin pare essere quella di un rilancio, forte dell’appoggio di nuovi alleati ad Est. In un commento critico alle tesi espresse in questo “manuale”, l’economista russo Konstantin Sonin chiarisce come in realtà non ci siano esempi di un Paese che si sviluppi più velocemente sotto sanzioni. Ad esempio, il tenore di vita in Iran, contro il quale sono state imposte sanzioni 40 anni fa, oggi sarebbe più basso di allora. Le sanzioni imposte alla Russia sono in proporzione molto più gravi, senza precedenti.
La Cina però sta mostrando sostegno ideologico e i nuovi equilibri in Asia centrale e nel Golfo Persico stanno cambiando. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti stanno spostando il peso sulla bilancia geopolitica, proteggendo i rapporti con il Cremlino e rifiutando di discutere con la Casa Bianca di un aumento della produzione di petrolio per compensare la crescita globale del prezzo del greggio a vantaggio di Mosca. È questa la “scommessa firmata Putin” ma, al netto delle sanzioni, crescita economica e tecnologica sembrano ormai impensabili senza lo scambio di know-how con i Paesi occidentali.
Sul piano politico interno un ritorno di fiamma tra popolazione e governo pare altrettanto chimerico. «Il Donbass è come una mina in seno al Cremlino pronta ad esplodere, carica di conseguenze, così come successe con i Paesi Baltici o con l’Ossezia» sintetizza Alexey Venediktov, ex direttore di Echo Moskvy – storica radio e piattaforma di informazione moscovita soppressa dal governo il mese scorso – in un’intervista al nuovo canale YouTube “Zhivoy Gvosd”(Chiodo Vivente). Tutti gli obiettivi del Presidente sarebbero finora stati mancati: «Non si è riusciti a conquistare la capitale e a deporre il Presidente ucraino Zelensky. Inoltre, assisteremo con tutta probabilità ad un nuovo allargamento della Nato. Finlandia e Svezia stanno infatti per la prima volta considerando seriamente di intraprendere questa strada».
A livello di costi dell’annessione territoriale, al di là dell’esponenziale isolamento a livello internazionale in cui si trova il Paese, è sufficiente fare un bilancio sulla Crimea. Con l’acquisizione di quest’ultima la Russia ha risparmiato 200 milioni di dollari all’anno in pagamenti per lo stazionamento della flotta del Mar Nero e tasse di passaggio attraverso lo stretto di Kerch. Tuttavia, le consegne di gas russo alla sola Ucraina sono diminuite di un decimo già nel primo quinquennio post-annessione: mentre nel 2013 Gazprom vendeva all’Ucraina 25,8 miliardi di metri cubi di gas, nel 2019 la cifra si fermava a quota 2,5 miliardi. Il commercio bilaterale è crollato dal picco di quasi 50 miliardi di dollari nel 2011 e le perdite annuali ammontano ad almeno 20 miliardi di dollari. Sul piano delle spese dirette sono stati trasferiti in Crimea 700 miliardi di rubli (8,7 miliardi di dollari) per i progetti infrastrutturali come il ponte da 3,7 miliardi di dollari e lungo 19 chilometri che collega la penisola alla Russia continentale e il mantenimento dell’isola stessa. A questi si aggiungono altri 200 miliardi in spese indirette come la previdenza sociale.
Secondo uno studio di Daniel Ahn e Rodney Ludema, ex alti economisti del Dipartimento di Stato americano, le sanzioni occidentali imposte a Mosca dopo l’annessione sono costate alle società russe più di 100 miliardi, ovvero circa il 4,2 per cento del prodotto interno lordo (PIL) russo. Konstantin Sonin disegna così il prossimo futuro: «È già chiaro sin d’ora agli economisti e tra un anno lo sarà per tutti: Putin consegnerà l’economia in uno stato di gran lunga peggiore di quello che prese in carico nel 1999. Sia in termini di tenore di vita, sia in termini di condizioni per un’ulteriore crescita». Sarà interessante vedere che cosa verrà stampato sui libri di storia fra dieci anni.
In copertina: Ministero dell’Istruzione e della Scienza della Federazione Russa