Il Myanmar torna ostaggio dei militari

Carri armati in libera circolazione, parlamentari blindati in albergo, chiuso il traffico della capitale. Tatmadaw mostra i muscoli o si prepara a riprendersi il potere?

di Emanuele Giordana

In queste ore il Myanmar, la giovane democrazia asiatica nata dalle prime libere elezioni del 2015, è di nuovo ostaggio dei militari. Ostaggio di una casta che per tre volte ha ribaltato il potere civile e che si teme possa di nuovo premere il pulsante di un golpe. Mezzi militari pesanti hanno iniziato a circolare nella capitale anche nei pressi della sede della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyy, uscito stra vittorioso dalle elezioni dell’8 novembre i cui risultati sono rifiutati dagli uomini in divisa. Carri armati presidiano soprattutto il lato Nord della capitale e l’aeroporto mentre le strade d’accesso a Naypyidaw, la sede del parlamento che avrebbe dovuto celebrare lunedi la cerimonia di apertura delle due nuove Camere elette dal voto popolare, sono sbarrate. E, con la scusa della quarantena, anche i deputati, vecchi e neo parlamentari, sono bloccati nella Guest House che li ospita in attesa dell’insediamento. Ostaggio anche loro dei blindati dell’esercito.

Le cose sono precipitate oggi dopo che nella notte di giovedi un tentativo di negoziato tra militari e civili è naufragato. Emissari di Tatmadaw, come vengono chiamate le forze armate, e del partito di maggioranza si sono incontrati per risolvere il contenzioso sul voto su cui i militari vorrebbero un riconteggio. Secondo la stampa locale, Tatmadaw avrebbe chiesto l’abolizione della Commissione elettorale, colpevole a loro dire di scorrettezza, e chiesto quindi di posporre l’insediamento del nuovo Parlamento dopo un nuovo riconteggio dei voti da svolgersi sotto egida militare. Cose su cui la Lega ha risposto no anche se, al momento, è stato deciso che l’insediamento verrà spostato di un giorno, a martedi 2 febbraio: 72 ore di alta tensione.

“Il generale non molla”

Secondo quanto sostiene una fonte vicina al palazzo presidenziale la rottura è stata anche su due altri temi: la richiesta di convocazione del Consiglio di sicurezza nazionale, quello che può decidere per esempio l’entrata in vigore della legge marziale. Nel Consiglio i militari hanno la maggioranza e quindi la Lega ha detto no di nuovo. Ma si sarebbe parlato anche del ruolo del generale Min Aung Hlaing, il capo delle Forze armate che a luglio andrà in pensione. Il generale vorrebbe la presidenza, cosa cui la Lega si oppone avendo stravinto le elezioni. Ma, dice la fonte ad atlanteguerre “il generale non vuole mollare”.

La giornata di oggi è stata invece particolarmente tesa perché si aspettava la decisione sul ricorso presentato alla Corte suprema da Tatmadaw che avrebbe potuto dar il via libera a una censura nei confronti della Commissione elettorale. Ma i giudici – probabilmente favorevoli a bocciare il ricorso – hanno preferito prendere tempo e hanno chiesto due mesi per poter dare una risposta. I militari non l’hanno presa bene. Né bene devono aver preso l’inusuale comunicato congiunto con cui tutte le ambasciate di peso nel Paese – dagli Stati Uniti al Canada, dalla Svezia all’Italia – hanno preso posizione a favore del processo democratico. Un modo in sostanza per schierarsi col legittimo governo civile e messaggio subito rilanciato dal nuovo rappresentante della Ue (tra i firmatari). Quanto alle singole ambasciate, da quella britannica (di solito la meglio informata anche grazie al suo passato coloniale) a quella italiana, sono arrivati ai diversi connazionali le allerta sulla situazione poiché, hanno scritto , si va registrando un “innalzamento della tensione sul piano interno” anche se una collega da Yangon spiega che per ora il traffico resta normale e fluido anche se altri testimoni hanno visto i carri armati sfilare anche nel centro città.

La Cina è vicina

La comunità internazionale però non parla con una voce sola, benché anche le Nazioni Unite abbiamo espresso i loro timori. Un inviato della Rpc, sostiene una fonte, avrebbe visitato Yangon nei giorni scorsi e avrebbe confermato, privatamente, che secondo Pechino i militari non hanno torto a giudicare scorretto il modo in cui sono state gestite le elezioni dalla Commissione elettorale e dalla lega: “un endorsement di fatto ai militari – conferma la fonte – e a cui non sarebbero estranei nemmeno i russi che negli ultimi tempi hanno avuto relazioni più strette con Tatmadaw”. Le prossime ore diranno.

In copertina un carro armato in dotazione a Tatmadaw. Nel testo il capo delle Forze armate Hlaing

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