Il nodo di Gaza

Le ragioni della nuova escalation, perché non esiste più una resistenza israeliana, i rapporti con l'Iran e altri spunti dal paese ebraico nell'intervista a Eric Salerno

a cura di Alice Pistolesi

La normalità dei rapporti tra Israele e Palestina, in particolare la striscia di Gaza e Hamas, è fatta di picchi di violenza e di ritorni alla relativa calma.

Eric Salerno

Per capire la nuova escalation e spiegare alcune delle ragioni che hanno portato alla più recente situazione di crisi abbiamo rivolto alcune domande a Eric Salerno, giornalista, per decenni inviato in Medio Oriente, e scrittore.

Perché questa nuova violenza?

Per mesi il governo di Israele e Hamas hanno negoziato, con mediazione di Egitto e Qatar, un accordo per consentire di mantenere la calma nella striscia. In cambio Hamas, che è responsabile della gestione della popolazione nella striscia, avrebbe dovuto ricevere molti soldi dal Qatar e da altri donatori, ci sarebbero stati accordi per allargare le miglia nautiche per consentire ai pescatori di uscire più in mare, altri aiuti in campo energetico e per costruire infrastrutture indispensabili per migliorare la qualità della vita. La ripresa delle ostilità, che comunque si sono già arrestate grazie a una nuova mediazione, sarebbe dovuto al fatto che Hamas sostiene che non ha ricevuto quanto gli era stato promesso. La spinta sull’acceleratore in questo momento da parte di Hamas si può spiegare anche nel periodo di transizione del governo Netanyahu. In questo momento infatti il premier non ha ancora composto il governo e sta negoziando accordi con le varie forze politiche. Il momento è delicato anche perché la prossima settimana ci sarà la festa per l’indipendenza di Israele e l’Eurovision, la manifestazione musicale che coinvolge cantanti da tutta Europa e che per la terza volta si svolge a Tel Aviv. Con una nuova ondata di violenza la manifestazione sarebbe fortemente danneggiata.

Qual è stata la nuova scintilla?

Venerdì 4 maggio, durante una delle manifestazioni della marcia del ritorno, alcuni palestinesi hanno sparato e ferito soldati israeliani. Questo ha provocato la risposta notturna israeliana con bombardamenti pesanti e la morte di alcuni palestinesi. Successivamente Hamas ha fatto partire centinaia di missili. Mentre succedeva questo a Il Cairo stavano già parlando di come concludere l’accordo tra governo e Hamas. Credo che la situazione si calmerà anche perché è appena iniziato il periodo del ramadan, che di solito garantisce un periodo di relativa calma. Fare previsioni in Medio Oriente è praticamente impossibile ma sicuramente un periodo da tenere sotto controllo sarà il mese di giugno, quando, l’amministrazione Usa dovrebbe presentare il proprio piano di pace. Lì quindi si prospetta un altro punto interrogativo.

Le manifestazioni per la Marcia del ritorno iniziate a marzo 2018 quindi proseguono?

Sono proseguite tutti i venerdì a Gaza. Da quando, prima delle elezioni in Israele, è stato raggiunto l’accordo tra Israele e Hamas, le manifestazioni si sono svolte più distanti dal confine della striscia. Questo è successo anche venerdì 4 maggio ma non è bastato a mantenere la calma.

Cosa dovrebbero fare, secondo la sua opinione, i palestinesi oggi?

Credo che i palestinesi dovrebbero sciogliere l’Autorità nazionale. In questo modo Israele sarebbe costretto a garantire la sicurezza e tutto quello che spetta a un paese occupante nei territori palestinesi della Cisgiordania. Avrebbe un peso economico enorme che potrebbe mettere in seria difficoltà il governo di Netanyahu. Ovviamente porterebbe a scontri e la situazione potrebbe esplodere: incidenti, morti e feriti probabilmente ma bisogna sempre ricordare che i palestinesi non dispongono di una forza militare tale da contrastare Israele.

Alla base degli scontri periodici e la mancanza di un passo avanti verso la soluzione del problema palestinesi, cosa c’è?

In Israele molte persone, sia tra i politici che nell’opinione pubblica, si chiedono perché il governo non elimini Hamas definitivamente. E’ chiaro che Israele potrebbe eliminare il movimento islamico in qualche settimana ma Netanyahu non ha interesse a farlo. L’organizzazione che governa la striscia è infatti un bubbone più nella spina dell’autorità nazionale palestinese, che per Israele. Fino a che ci sarà Hamas, Israele avrà la scusa per non fare accordi con i palestinesi. L’Autorità Palestinese e Hamas hanno visioni diverse e queste sono utili ad Israele, che sostiene che non può fare un accordo perché non ha un interlocutore unico. Questo è il motivo per cui questa situazione tesa e, a tratti di violenza, andrà avanti ancora per molto.

Pare che in Israele non esistano voci contrarie all’oppressione del popolo palestinese. E’ un’impressione che si ha dall’esterno o è davvero così?

Effettivamente forme di resistenza a questa supremazia non ci sono, se non per piccolissimi gruppi. Pare che gli israeliani abbiano avviato una forma di rimozione, non vogliono parlarne più della questione e pensano solo a vivere bene. In alcune zone del Paese, come Tel Aviv, città cara e molto viva, la gente, ha sicuramente di livello economico più alto della media nazionale conduce un tenore di vita alta, si distrae e come tutti gli israeliani viaggia molto, sia perché le vacanze all’estero costano di meno che a casa, sia perché serve a non pensare troppo.

La questione palestinese non è quindi in cima alla loro agenda. I pensionati di oggi, ovvero coloro che forse avevano combattuto in passato per l’autonomia dello stato palestinese, si sono tirati fuori dai giochi, mentre i giovani sembrano interessati a vivere e sopravvivere bene. Una cosa che preoccupa i giovani è il costo della vita, che nel Paese è altissimo. In molti non riescono a comprare casa a causa dei prezzi esosi. I movimenti che sono nati contro il governo in questi anni portavano queste rivendicazioni.

Crede che il sistema educativo abbia giocato e stia giocando un ruolo fondamentale in questa rimozione?

Non credo che questo incida, però ci sono comunque delle considerazioni da fare. L’educazione per la religione ebraica è sempre stata un pilastro fondamentale, ma ultimamente il livello è stato definito basso. Questo per vari motivi: dalla mancanza di insegnanti, fino alla lotta per far avere più peso ai partiti religiosi. Partiti di cui Netanyahu ha bisogno. Alcune formazioni chiedono infatti finanziamenti importanti e la possibilità di penetrare nella scuola inserendo la religione in tutto quello che si insegna. Per questo nei libri delle elementari, per fare di conto, le mele degli esercizi di matematica sono stati sostituiti dalle kippah e dalle bibbie. Questa penetrazione religiosa ha smosso proteste nelle scuole a Tel Aviv ma non a livello nazionale.

La copertina dell’ultimo libro di Eric Salerno

Quanto hanno inciso i governi Netanyahu in questa passività israeliana?

Bisogna riconoscere che in questo Netanyahu è stato bravo. Ha saputo giocare sulla sicurezza e sulla paura della gente. Ha sempre parlato chiaramente: non voglio la guerra ma sappiate che là fuori in molti ci odiano. Tutti sanno che Israele non ha intenzione di iniziare una nuova guerra perché non ne ha bisogno e perché sa che nuocerebbe anche al proprio Paese. Gli israeliani non hanno timore di Hamas.

Quando negli anni settanta e ottanta del secolo scorso frequentavo Israele tutti nelle auto tenevano la radio accesa, si informavano su cosa succedeva nella striscia, a Gerusalemme, se potevano esserci problemi. Era una popolazione che temeva per la propria incolumità e comprava giornali, si informava. Oggi niente di tutto questo. Sui taxi si ascolta la musica, non si comprano i giornali, come del resto in Italia. Nei giorni scorsi, anche se avevano annunciato che sarebbero stati aperti i rifugi a Nord di Tel Aviv nessuno in città ha cambiato i propri programmi.

Come è vista invece la manovra che coinvolge l’Iran?

Sicuramente le persone hanno più paura di quello che può succedere con l’Iran che con Hamas. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano mandato la flotta a protezione, dicono, degli interessi loro e dei loro alleati fa piacere all’opinione pubblica israeliana e fa il gioco di Netanyahu. Tutti, comunque, sanno bene che un conflitto Usa-Iran potrebbe coinvolgere anche Israele. Hamas, militarmente, non preoccupa Israele. L’eventuale lancio di missili dal Libano da parte di Hezbollah, alleati di Iran sarebbe, invece, molto pericoloso.

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