Il nuovo vecchio conflitto nel Vicino Oriente

Gaza/Israele. Il diritto alla difesa e il diritto al futuro. L'editoriale del direttore dell'Atlante

di Raffaele Crocco

L’affermazione è: Israele ha diritto a difendersi. E non è contestabile. Ma c’è una domanda che si aggiunge, inevitabile, se si è onesti: ha il diritto a difendere anche i territori che usurpa, che ha conquistato illegalmente cacciando – armi e complicità della comunità internazionali alla mano – il popolo palestinese?

Questa nuova tremenda fase di una guerra che dura dal 1948 ci obbliga a questa domanda. Non c’è dubbio: nulla giustifica un attacco armato. I quasi seicento morti, fra le due parti e in poche ore, le centinaia di feriti e gli ostaggi catturati, sono lì a dimostrare ancora una volta che la guerra non è lo strumento risolutivo, mai. Non lo sarà nemmeno questa volta, certamente non per Hamas e i palestinesi, che hanno attaccato. Ma la realtà è che Israele, con la sua lenta, inesorabile occupazione dei territori palestinesi, con il suo espandersi con l’obiettivo evidente di cacciare un intero popolo dal proprio territorio, si comporta da Stato aggressore da sempre. E in nome del medesimo principio esposto sopra, quindi, i palestinesi hanno il sacrosanto diritto alla difesa, con i mezzi, i tempi e i modi che hanno a disposizione.

È interessante scoprire come molti osservatori internazionali non siano d’accordo con questo principio. Parlano, invece, del diritto di Israele a riprendersi i territori che la Comunità internazionale aveva assegnato in più occasioni (Onu novembre 1947 e Accordi di Oslo, agosto 1993) ai palestinesi. Non vi è alcuna base giuridica dietro questa convinzione. Il diritto internazionale, la Dichiarazione Universale dei diritti della persona, la geografia e il buon senso ci dicono con chiarezza che Israele è un Paese che occupa territorio non proprio. Non solo: con la propria azione politica reprime e priva del diritto al futuro un intero popolo, costringendolo a vivere nella miseria, senza lavoro e servizi, in grandi prigioni a cielo aperto. In nome del richiamo al mito – la storia biblica della Grande Israele – Tel Aviv distrugge vite e speranze. Se ci pensate, è come dire che Roma avrebbe diritto a riprendersi parte della Germania, in nome della propria storia imperiale: diciamolo, non regge.

Il guaio è che Tel Aviv trova, in queste politiche d’occupazione, la complicità, magari un po’ infastidita, di Europa e Stati. Un appoggio interessato, utile a chi vuole mantenere un “caposaldo occidentale” armato e potente nel cuore del Vicino Oriente. Israele gioca su questo suo essere “roccaforte dell’occidente” e si permette ciò che a tutti gli altri è giustamente precluso: conquistare e occupare abusivamente territori non suoi.

Le contraddizioni di questo agire, però, prima o poi emergeranno. Non dimentichiamo che Israele è diventato, negli ultimi decenni, uno Stato confessionale, con la religione capace di determinare la politica del Paese e la quotidianità degli individui: questo allontanerà sempre più il Paese dell’Europa e dalle sue tradizioni. Tel Aviv, poi, sta costruendo una rete di alleanze utile a difendersi da quello che vede come il grande nemico: l’Iran. Ha per questo intrecciato relazioni di pace con Riad, l’Arabia Saudita, il più integralista del Paesi islamici sunniti e grande nemico dell’Iran scita. Riad, però, da sempre difende i palestinesi, popolo sunnita e da sempre dichiara la “causa palestinese” centrale. Cosa accadrà, ora? L’alleanza proseguirà o si incaglierà nelle beghe di principio e nelle dispute fra integralismi religiosi, ebraici e islamici?

La situazione è davvero drammatica. Lo era prima dell’attacco sanguinario di Hamas, lo sarà nei prossimi giorni con la violenta reazione israeliana. A pagare il prezzo più alto saranno come sempre i civili, israeliani e palestinesi, che moriranno sotto le bombe o per mano di un qualche combattente. E alla fine, non ci sarà alcuna soluzione a questa guerra eterna, non ci saranno accordi di pace costruttivi, utili. Resteranno sul terreno e nella pancia dei sopravvissuti ancora più odio, ancora più voglia di distruggere un nemico che, a entrambi i contendenti, appare ormai eterno. Resterà solo la convinzione di dover combattere all’infinito, sino alla distruzione dell’avversario. E tutto ricomincerà.

Scene di guerra e uomini in uniforme. In copertina membri delle Brigate Qassam di  Hamas (shutterstock). Nel testo, il genio dell’esercito israeliano. Ma a pagare sono le persone senza uniforme dall’una e dall’altra parte del confine

 

 

 

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