Il Pakistan verso il voto: cammino in salita (aggiornato)

Dopo le violenze contro i cristiani, l'arresto di Imran Khan e dell'ex ministro Qureshi e due leggi che favoriscono i militari e i servizi

di Emanuele Giordana

Dopo che oltre un centinaio di persone sono state arrestate a Jaranwala nel Pakistan orientale dove migliaia di musulmani hanno bruciato chiese e vandalizzato case di cristiani settimana scorsa, si chiude per il momento l’ultimo feroce episodio di violenza comunitaria. A scatenarla a Jaranwala le affermazioni secondo cui due uomini cristiani avevano strappato pagine da una copia del Corano. Persino figure religiose dell’islam radicale hanno condannato l’episodio. Ma gli scogli che il Paese deve superare sono tanti. Mentre nella notte tra mercoledi 9 agosto e giovedi 10, il Presidente del Pakistan, Arif Alvi, firmava la richiesta di scioglimento del Parlamento avviando il processo che deve portare al voto, in una cella di Attok, piccola prigione militare isolata a 85 chilometri da Islamabad, si concludeva la parabola politica di Imran Khan.

Arrestato lo scorso sabato su mandato del tribunale in seguito a un esposto della Commissione elettorale, il leader del partito Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) si è visto comminare tre anni di carcere ma anche l’esclusione per 5 anni da ogni carica pubblica, come è stato reso noto dal tribunale il giorno prima che il Premier uscente, Shehbaz Sharif, chiedesse lo scioglimento delle Camere. Il passo, che prevede un Governo a interim per la loro preparazione (il 16 agosto Anwaar-ul-Haq Kakar è diventato il Primo Ministro provvisorio del Pakistan) apre la strada a elezioni tra tre mesi anche se il condizionale è d’obbligo per vari problemi tra cui censimento e voto digitale. Il voto andrà senza ombra di dubbio oltre i tre mesi previsti. Ma la vera notizia è che Imran Khan non potrà candidarsi.

Non si può quindi dargli torto se dietro una serie di coincidenze Khan vede una macchinazione a suo danno, visto che nelle ultime elezioni (2018) è stato il suo partito ad arrivare primo, consegnandogli lo scranno di Premier (da cui è poi stato sfiduciato l’anno scorso). Inoltre, una decina di giorni fa, The Intercept – un webmagazine di inchiesta statunitense – ha pubblicato un documento “segreto” del marzo 2022 inviato dall’ambasciatore del Pakistan a Islamabad in cui il Dipartimento di Stato americano – come Khan ha sempre sostenuto – incoraggiava il Governo a rimuoverlo da Primo Ministro per la sua neutralità sull’invasione dell’Ucraina. “Il cablogramma – scrive il magazine – rivela carota e bastone del Dipartimento di Stato contro Khan, promettendo relazioni più amichevoli se fosse stato rimosso e, al contrario, isolamento”. Documento che l’ormai ex Premier Shehbaz Sharif ha respinto al mittente e che ha già provocato uno scossone: l’indagine in corso sul caso ha visto l’arresto del Vicepresidente del PTI ed ex Ministro degli Esteri, Shah Mehmood Qureshi.

Certamente Imran Khan ha fatto di tutto per non ingraziarsi i giudici, rinviando sine die le udienze cui era chiamato a rispondere per i più svariati motivi e facendosi scudo della piazza per evitare le manette. Poi però la macchina dello Stato ha battuto un colpo: arresti di massa e tribunali militari per giudicare i suoi facinorosi supporter che – ogni volta che Khan doveva andare a processo – organizzavano manifestazioni in favore del leader corredate anche da attacchi agli uffici delle forze dell’ordine. Eliminati vertici del partito e sostenitori, è finalmente stata la volta di Khan. E, almeno per ora, un partito decimato e senza capo non è riuscito, come altre volte, a mobilitare la piazza se non con azioni sporadiche.

Ma eliminare Khan, il rivale per eccellenza delle due grandi famiglie politiche del Pakistan (gli Sharif della Lega musulmana e i Bhutto del Partito popolare), non è detto favorisca le vecchie famiglie le cui pressioni sulla giustizia sono state fortissime, tanto da fruttare a Imran oltre 70 fascicoli giudiziari. Difficile che molti pachistani, al di là delle intemperanze del PTI, abbiano digerito la manovra. Tre mesi però non sono molti per riorganizzare una protesta col rischio che una nuova bufera giudiziaria si abbatta anche sul Partito della giustizia di Khan, squalificandolo dalla corsa elettorale.

Il cammino elettorale intanto avrà anche a che vedere con due leggi draconiane favorevoli alla casta militare vero ago della bilancia. Sono emendamenti all’Official Secrets Act e autorizzano i servizi (Inter-Services Intelligence-ISI e Intelligence Bureau-IB) ad arrestare i cittadini per “sospetta violazione di segreti ufficiali”. Infine, una pena detentiva di tre anni per chiunque riveli l’identità di un funzionario dell’intelligence. Il 19 agosto si era diffusa la notizia che il Presidente Arif Alvi aveva dato il suo assenso ai due disegni di legge approvati dal Senato e dall’Assemblea Nazionale e inviati al Presidente per la sua approvazione tra le critiche dei parlamentari dell’opposizione. Ma con un tweet Alfi ha negato sostenendo di aver rinviato le due leggi al Parlamento.

A complicare il quadro, oggi  un tribunale antiterrorismo (Atc) di Islamabad ha concesso alla polizia tre giorni di custodia cautelare fisica per l’avvocatessa per i diritti umani Imaan Zainab Mazari-Hazir e l’ex parlamentare Ali Wazir in un caso di sedizione. Wazir è stato arrestata sabato, mentre Imaan è stata prelevata a casa sua nelle prime ore di domenica. Gli arresti sono stati effettuati due giorni dopo un incontro pubblico, organizzato dal Movimento Pashtun Tahaffuz (Ptm). Imaan è figlia di una parlamentare in quota Pti, il partito di Khan.

Aggiornato alle ore 11 di lunedi 21 agosto

Nella foto in copertina, l’ex Premier e Presidente del PTI, Imran Khan © Awais khan/Shutterstock.com

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