Il ritorno del militarismo in America Centrale

Con la fine delle dittature e delle esperienze rivoluzionarie, tutta l’area è tornata alla normalità. Una normalità fatta però, ad eccezione del Costa Rica, di corruzione, caudillismo, manipolazione, repressione  e peso crescente degli apparati militari. Un'analisi

di Adalberto Belfiore

Il peso delle Forze Armate, con l’eccezione del Costa Rica, torna a costituire una minaccia per le deboli democrazie centroamericane. Negli anni Ottanta del secolo scorso l’America Centrale era una regione con una lunga tradizione di colpi di stato, dittature militari, massacri e violenza, sotto il controllo asfissiante degli Stati Uniti che garantiva un terreno molto propizio agli affari delle proprie multinazionali. La rivoluzione popolare sandinista (Nicaragua, 1979) fu un momento di rottura radicale di questo ordine e, assieme alle guerriglie di sinistra attive in Salvador e Guatemala, diede molti grattacapi ai pianificatori di Washington.

Contro il governo sandinista gli Usa condussero la cosiddetta “guerra di bassa intensità”, ossia l’uso di ogni mezzo possibile di pressione meno l’intervento militare diretto: finanziamenti ai partiti di opposizione, armi soldi e addestramento alla guerriglia antigovernativa (la Contra), minamento dei porti, isolamento e blocco dei finanziamenti internazionali. Ciò portò dopo dieci anni di atrocità e più di 50.000 vittime, alla fine di un’esperienza che avrebbe potuto essere una vera novità in termini di libertà e autodeterminazione nel cosiddetto “giardino di casa” della potenza egemone. Con gli accordi di Sapoà (1990), sembrò che la martoriata regione potesse entrare in una fase di pacificazione democratica e di regole condivise. In Nicaragua, dopo la sconfitta elettorale dei sandinisti (1990), dal governo di Violeta Chamorro si susseguirono per sette anni governi neoliberali in linea con i dettami del Fondo Monetario Internazionale.

In Salvador si passò dai governi repressivi di estrema destra alla vittoria elettorale degli ex guerriglieri del Fronte Farabundo Martí (2014). In Guatemala gli accordi (Oslo 1996) tra governo e i guerriglieri dell’Unità rivoluzionaria nazionale guatemalteca posero fine a 36 anni di repressione con 100.000 morti e 40.000 desaparecidos. E dopo il fallito colpo di stato contro Vinicio Cerezo, primo presidente civile dopo 30 anni di Giunte controllate dall’Esercito, si ebbero nove governi eletti e una cospicua riduzione, attorno al 35%, degli effettivi militari. L’Honduras, che negli anni ’80 era diventato il centro delle attività antiguerriglia degli USA, con basi militari segrete ed enormi finanziamenti (anche illeciti, come dimostrò l’affaire Iran-Contra che coinvolse alti funzionari dell’amministrazione Reagan) è stato lo scenario dell’ultimo colpo di stato militare della regione (2009). Vittima, pur avendo incrementato il potere dei militari con concessioni politiche e amministrative, il presidente Manuel Zelaya giudicato troppo “di sinistra” e vicino ai sandinisti, nel frattempo ritornati al potere per via elettorale (2007). Ed è ingenuo pensare che l’amministrazione del neopresidente Barak Obama se ne stia stata a guardare.

Solo il Costa Rica e Panama sono stati esenti da massacri e da guerre civili. L’ultima fu nel 1948 quando il caudillo socialdemocratico costaricense José Figueres Ferrer, dopo quattro anni di turbolenze e solo 44 giorni di rivoluzione, impose un accordo costituzionale a tutte le parti in conflitto ed ebbe la saggezza di rispettarlo. L’anno successivo abolì l’Esercito e quella data, il primo dicembre, è stata proclamata proprio quest’anno 2020 festa nazionale. E con ottime ragioni, perché da quel giorno Il Costa Rica è diventato il Paese più stabile, democratico e prospero della regione, ad un passo da essere invitato a far parte del club dei paesi ricchi. Anche Panama ha abolito da trent’anni il suo Esercito, completamente screditato nel periodo della dittatura di Manuel Noriega. Si dice che Noriega fu l’unico agente della CIA arrivato ad essere capo di stato. Ma una volta al potere tentò di gestire in proprio i rapporti con i paesi vicini, in particolare col Nicaragua sandinista, ma soprattutto il lucroso traffico di stupefacenti. Ciò provocò l’ultima invasione diretta degli Stati Uniti in America Latina (1989), l’arresto di Noriega e la sua deportazione e relativa condanna a 40 anni da parte di un tribunale di Miami in un processo il cui esito era già deciso in partenza.

Si può affermare che con la fine del periodo delle dittature e delle esperienze rivoluzionarie, tutta l’area sia tornata alla normalità. Ma una normalità fatta, ad eccezione del Costa Rica, di corruzione, caudillismo, manipolazione dei meccanismi democratici, repressione della società civile e peso crescente degli apparati militari. Il presidente guatemalteco Jimmy Morales, appoggiandosi ai militari, ha espulso nel 2019 la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra (CICIG) e ha iniziato un processo di militarizzazione della Polizia nazionale civile.

L’attuale Presidente del Salvador Nayib Bukele il 9 febbraio di quest’anno con l’appoggio dei militari ha occupato l’Assemblea Nazionale col pretesto di ottenere un finanziamento di 109 milioni di dollari a favore di Esercito e Polizia per la lotta alle pandillas criminali che infestano il paese, andando a un passo da un vero e proprio golpe e facendo arretrare di 30 anni il livello istituzionale del paese. Da quando il presidente honduregno Manuel Zelaya tentò di ingraziarsi le Forze armate concedendo loro la gestione dell’impresa statale dell’energia elettrica (ENEE) i militari hanno invaso il campo dei poteri civili assumendo il controllo di apparati dello stato come il ministero degli Esteri e della Cooperazione, i Servizi di sicurezza e della difesa, le Zone speciali di sviluppo economico (ZEDES), le carceri, le università, gli uffici del lavoro tra gli altri.

Il bilancio degli enti controllati dai militari si è incrementato enormemente sotto l’attuale Presidente Juan Orlando Hernández, la cui rielezione è stata questionata per legami addirittura con i narcos del Cartello di Sinaloa (il fratello Tony Hernández è stato condannato per narcotraffico negli USA). Durante il suo mandato sono state approvate leggi che rendono impossibile conoscere come vengono spesi i cospicui fondi amministrati dai militari (Ley de Secretos) e a seguito della creazione della Polizia militare di ordine pubblico (PMOP) sorta di guardia pretoriana del Presidente, si sono incrementate le denunce di violazione dei diritti umani e la stessa Procura della Repubblica ha dichiarato che è impossibile indagare sulla morte di almeno 21 manifestanti. Un caso particolarmente inquietante è la deriva autoritaria e sostanzialmente fascista presa dal presidente Daniel Ortega in Nicaragua.

Tornato al potere nel 2007 attraverso un accordo tra il Fronte sandinista (FSLN) e l’estrema destra che ha permesso l’approvazione di una legge elettorale ad hoc, Ortega ha modificato la Costituzione per garantirsi la rielezione a vita e con un uso spregiudicato dell’Esecutivo si è garantito il controllo totale di tutti i poteri e gli apparati dello stato, compresi Esercito e Polizia, ridotti a strumenti del partito di governo. Dal 2018 ogni forma di opposizione è stata stroncata con un uso spropositato della violenza e l’impiego di squadroni della morte diretti e protetti dalla Polizia e armati dall’Esercito. Il cui capo di stato maggiore Julio César Avilés, riconfermato tre volte di seguito per la sua fedeltà al caudillo, è stato sanzionato dagli Stati Uniti per corruzione e violazione dei diritti umani.

L’Esercito del Nicaragua è quasi altrettanto influente nell’economia del Paese come quello del Salvador e dell’Honduras, ma con modalità meno evidenti. La sua partecipazione alla repressione, attraverso la fornitura di armi da guerra alle squadracce filogovernative, che ha causato centinaia di morti, carcerazioni, desaparecidos e migliaia di feriti, e il rifiuto delle gerarchie militari a disarmare le bande paramilitari come richiesto da giuristi e organizzazioni della debole società civile, mettono in forse, con più forti ragioni che a Panama, la sopravvivenza stessa dell’istituzione il giorno che venga restaurata una forma accettabile di stato di diritto.

A differenza del Costa Rica, a Panama l’abolizione dell’esercito non si è tradotta in una democratizzazione effettiva della società. L’agenda delle priorità riguardo alla sicurezza è dettata dagli Usa, data l’importanza del Canale interoceanico controllato dai gringos. Così all’interno delle forze di polizia nel 2008 è stato creato il Servizio nazionale per le frontiere (SENAFRONT), un corpo di polizia militarizzato di 11 battaglioni, utilizzato anche per la lotta al narcotraffico, il controllo dei migranti e la repressione delle proteste sociali. Di fatto l’autoritarismo dei tempi di Noriega si è trasformato in indifferenza per i diritti umani, discriminazioni contro stranieri e omosessuali, e una impostazione repressiva anche nella gestione dell’attuale pandemia. La corruzione è molto diffusa e profonda e alti ufficiali della Polizia, eccessivamente numerosi e strapagati, sono stati coinvolti in traffici illeciti con le armi provenienti dagli Stati Uniti. L’avvento di una reale normalità democratica e il confinamento delle Forze Armate entro i limiti che sono loro propri, seppure in grado e forme diversi, appare assai lontano in quasi tutta l’America Centrale.

In copertina, paracadutisti guatemaltechi

Mappe: wikicommons e Nazioni Unite

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