Il secolo cinese in Etiopia

di Ilario Pedrini

L’Etiopia punta all’industrializzazione: il governo vuole uno sviluppo veloce, un punto di svolta. Il progetto prevede il coinvolgimento della Cina. Al momento il Paese si basa sull’agricoltura di sussistenza.

L’Etiopia potrebbe diventare il fulcro dell’economia del Corno d’Africa: un’economia che vorrebbe essere industriale, con un’autonomia nella produzione.

Nello Stato ci sono 100 milioni di persone. Sono 10 i poli industriali pensati in diverse regioni. Ma lo sviluppo è possibile solo grazie alla presenza del governo di Pechino, con i suoi capitali, i suoi finanziamenti e la sua tecnologia.

Cinque le aree industriali individuate dai due governi. Una si trova ad una quarantina di km da Addis Abeba, con 66 progetti già operativi su 40 ettari, mentre altri 167 sono in via di definizione.

In altri poli si lavora alla produzione di tessuti, scarpe, motori per macchine agricole e materiali da costruzione.

«Nel polo industriale di Hawassa, a sud della capitale, si produrranno tessuti e abbigliamento in modo sostenibile. Il polo di Hawassa è sviluppato dalla China civil engineering corporation (Ccecc)» racconta Bruna Sironi.

Grazie alla presenza di Pechino è stata essenziale nella realizzazione della metropolitana di Addis Abeba, costruita dal China railway group limited e finanziata dalla Export-Import Bank of China. Un altro “tassello” del piano Etiopia-Cina è stato composto dalla stessa società nel tratto che collega il Paese e Gibuti.

“Parlano cinese” anche i porti di Doraleh e quello di Tadjourah, in avanzata fase di costruzione nel nord di Gibuti, «destinato soprattutto all’esportazione del potassio della Dancalia etiopica».

La Cina non manca anche nel settore dell’energia, in particolare per quanto riguarda quella idroelettrica, quindi parliamo della costruzione di dighe.

«È un piano così aggressivo che necessita certamente di un “governo forte” per essere portato a buon fine. Promuove anche un modello di sviluppo che ha mostrato già i suoi enormi limiti nei paesi industrializzati, sia in termini di rispetto dell’ambiente e dei diritti umani fondamentali della popolazione, sia in termini di riduzione effettiva della povertà e degli squilibri tra i diversi gruppi sociali, a discapito di quelli rurali. Ma la strada sembra ormai tracciata, senza dubbi e ripensamenti da parte del regime, che riduce al silenzio chi vi si oppone».

I cinesi sono talmente presenti in Africa che in Kenya li chiamano la 43esima tribù. «L’Africa, e in particolare l’Africa dell’Est, è chiaramente il suo primo polo di espansione».

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