Tra aprile e maggio in quella che viene considerata la più popolosa democrazia del pianeta circa 900 milioni di indiani vanno alle urne per eleggere il nuovo parlamento. La prima fase del voto copre un elettorato di 142 milioni in 20 stati, che decideranno il destino di 91 candidati. La campagna elettorale però non promette niente di buono specie in riferimento alle promesse del Bjp (Partito del Popolo Indiano / Bharatiya Janata Party), l’organizzazione ultranazionalista e suprematista indù al governo. Una campagna improntata sulla sicurezza, sulla difesa del suolo patrio e sui temi della difesa nazionale sembra oscurare – dicono le opposizioni – i problemi reali di un Paese dove l’ineguaglianza di classe, le disparità sociali e la disoccupazione colpiscono soprattutto i più deboli.
Il premier Narendra Modi (a dx nell’immagine), 68 anni, è il favorito ma deve comunque affrontare la sfida della dinastia Gandhi con Rahul Gandhi, leader del partito del Congresso (foto sotto) che guida l’opposizione e che ha tentato di capitalizzare gli scarsi risultati del governo di Modi sull’occupazione e sulla povertà rurale. Modi ha preferito così giocare la carta della sicurezza e della difesa del suolo patrio, aiutato in questo dalla recente grave tensione col Pakistan originata da quanto avviene in Kashmir e che ha portato i due Paesi all’inizio di quest’anno sull’orlo dell’ennesimo conflitto tra le due sorelle separate con la Partition dell’India britannica nel 1947. Ma il Bjp è andato oltre, specie sul dossier Kashmir.
Le parole d’ordine sono cambiate: “chowkidar” (guardiano, guardia) ha sostituito “vikas” (sviluppo), slogan per eccellenza delle elezioni nel 2014 accanto a “sicurezza nazionale” nelle sue molte declinazioni. Nel suo manifesto elettorale il Bjp ha resi noti due provvedimenti che intende prendere e che è poco definire incendiari. Il primo riguarda la decisione di intervenire sull’articolo 370 della Costituzione indiana che concede uno status speciale e garanzie politiche al territorio conteso del Kashmir sotto il controllo indiano. In poche parole anche non residenti (quindi indù di altre aree del Paese) vi potranno comprare beni immobili: una scelta che non solo farebbe salire la tensione all’interno della regione contesa ma che produrrebbe una reazione inevitabile del Pakistan su una sorta di “modello Israele” con l’espansione di colonie indù in un’area contestata a maggioranza musulmana. Il manifesto inoltre rimette in agenda l’impegno del partito per costruire un tempio per il dio indù Rama ad Ayodhya nell’Uttar Pradesh al posto di una moschea di epoca medievale distrutta da estremisti indù nel 1992.
Nell’immagine di copertina il loro ufficiale delle elezioni (Red/E.G.)