di Raffaele Crocco
Certamente Albin Kurti non ha creato le condizioni per il dialogo, anzi. Presentando in Parlamento il programma e la composizione del suo nuovo Governo – lo scorso 3 febbraio – ha detto a chiare lettere di voler chiedere alla Serbia l’assunzione di responsabilità per i crimini di guerra commessi nel 1999, con i relativi risarcimenti per i danni.
Il risultato è che i rapporti fra Kosovo – Stato che chiede l’indipendenza proprio dalla metà degli anni ’90 – e Serbia – Paese che non vuole cedere quel pezzo di terra che ritiene parte integrante della propria Storia e del proprio territorio – sono, se possibile, diventati ancora più tesi e difficili e la ricerca di un accordo ancora più complessa.
Belgrado e Pristina restano lontane. Il Kosovo cerca consensi alla propria indipendenza dalla Serbia, dopo averla autoproclamata nel 2008. Molti Paesi, però, fra cui Cina, Russia e cinque Stati dell’Unione Europa, inclusa la Spagna, non vogliono saperne. Le trattative con Belgrado sono andate avanti a strappi. Le scelte di Kurti, ora, certo non aiuteranno le diplomazie chiamate attorno al tavolo.
ll Parlamento gli ha dato fiducia con 66 voti favorevoli su 120. Le opposizioni hanno lasciato l’aula al momento del voto in segno di protesta. Kurti – ex studente ribelle, chiamato il “Che Guevara del Kosovo” – guida un partito della sinistra nazionalista – Autodeterminazione – che ha vinto le elezioni il 6 ottobre 2019. Le trattative per formare il governo, con una maggioranza sufficientemente solida, sono state lunghe, sono durate quattro mesi. La formazione di Kurti ha trovato l’intesa con la Lega democratica del Kosovo, Ldk, di centrodestra, arrivata seconda nelle urne.
Da sempre duro con la Serbia, in campagna elettorale aveva dichiarato di voler dialogare con Belgrado, per trovare una soluzione al conflitto e dare gambe solide all’indipendenza. Durante il discorso dell’insediamento, però,il quarto premier kosovaro ha annunciato di voler chiedere il risarcimento per i danni di guerra. Verranno presentate denunce penali per genocidio – ha rincarato – e verrà costituito un apposito istituto che si occuperà di tutto questo. Ha ribadito di essere pronto a trattare con Belgrado, ma solo se ci sarà un largo consenso politico.
Belgrado non ha gradito e non ha digerito nemmeno l’annuncio di una legge che renderà obbligatoria la leva militare per tre mesi. La Serbia aveva interrotto i colloqui con il governo del Kosovo nel novembre del 2018, sia per la decisione di Pristina di applicare dazi del 100% sull’import di beni serbi, sia per l’approvazione di una legge che istituiva un esercito nel piccolo Paese dei Balcani. Per Belgrado questa è un’affermazione di sovranità inaccettabile e, soprattutto, l’accordo siglato alla fine della guerra per porre fine ai combattimenti non prevedeva la nascita di un esercito del Kosovo.
Due schiaffi, quindi, quelli che il nuovo premier, Kurti, ha dato alla Serbia, che certamente reagirà continuando la politica di ostruzione all’ingresso del Kosovo negli organismi internazionali. Kurti dice che fra i due Paesi bisogna fondare i rapporti sul principio di reciprocità: con questo clima difficile immaginare possa avvenire nei prossimi mesi.
In copertina la prima riunione il 3 febbraio del governo Kurti