La nuova (ma vecchia) stagione del terrorismo nel Sahel

La nuova Provincia dello Stato Islamico nella Regione, il golpe in Niger e in Gabon, le mosse di Ecowas. Intervista a Francesco Strazzari del Sant'Anna di Pisa

di Alice Pistolesi

La diffusione del terrorismo di matrice jihadista è sempre più capillare nel Sahel, dove recentemente uno dei gruppi armati ha giurato fedeltà all’ultimo autoproclamatosi Califfo, dando vita così una provincia del sedicente Stato Islamico nella Regione. È il secondo tentativo, dopo quello avvenuto nel 2013, che si inserisce in un contesto di profonda instabilità politica (vedi golpe in Niger e in Gabon), sociale ed economica.

“Dobbiamo  – dice  Francesco Strazzari, docente di scienza politica della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisaguardare i passi che si sono susseguiti. Nella prima fase c’era un battaglione legato ad al-Sahrawi, poi eliminato, che ha fatto fatica ad accreditarsi in quanto gruppo fuoriuscito dalla lunga storia del jihaidismo saheliano, che derivava dalla stagione salafita algerina”.

Secondo lei quindi è plausibile che nel Sahel sia in corso un nuovo tentativo di “ricostruzione del Califfato”?

Dopo la sconfitta a seguito dell’intervento della Francia e della coalizione internazionale in Mali nasceva questa prima cellula che ha fatto comunque fatica a farsi accreditare dopo la presa di Mosul in Iraq. La svolta avvenne quando cominciarono a muoversi verso sud e ad entrare in contatto con Boko Haram sul confine nigeriano e sul lago Ciad. Lì avviene infatti il contatto e il riconoscimento di una dimensione propria, autoctona, legata al Califfato nero. Qui è dove è avvenuto il salto di qualità perché lo Stato Islamico investe e riconosce una provincia vera e propria con qualche tattica diversa, compreso l’utilizzo di qualche donna suicida.

L’ultimo passaggio, avvenuto nell’ultimo anno, si ha poi con la nascita della provincia Sahel su tre frontiere (Niger, Mali e Burkina), una forza combattente che ha rivendicato il giuramento all’ultimo Califfo. Abbiamo il video del giuramento di questa nuova formazione che è la provincia del Sahel dello stato islamico. Gli attacchi di questo gruppo sono in crescita perché si scontra con i gruppi legati ad al-Qaeda. Da quando i francesi si sono ritirati, poi, lo scontro è con i russi ed è concentrato più all’interno del Mali. È cambiata anche la strategia: se i francesi erano soliti agire eliminando i leader, l’azione dei russi è più indiscriminata e colpisce in particolar modo la popolazione peul o fulani. A questo, nella zona centro settentrionale, si aggiunge poi un’altra formazione vicina ad al-Qaeda che in questi giorni ha dichiarato assedio di Timbuctù.

Qual è in breve la sua opinione sul golpe in Niger?

È un episodio che nasce da un ricatto in dinamiche locali, tanto che per le prime 24 ore sembrava fosse un tentativo di salvare in qualche modo in generale che lo ha promosso, che è un uomo dell’ex Presidente. Per spiegarlo bisogna guardare ad una serie di elementi di stabilità politica ed economica.

L’innesco è infatti interno al sistema distribuivo di potere tra le elite, ma nel momento in cui la cosa deflagra in 24 ore vediamo che le forze militari che sono molto aumentate negli ultimi anni, si trovano tutte d’accordo – anche i vigili del fuoco – e dichiarano il colpo di Stato. A questo punto si poteva tentare una via negoziata interna, tanto che la Nigeria manda a nome di Ecowas il sultano di Sokoto, leader tradizionale della zona di frontiera tra Niger e Nigeria. Le cose però hanno un’escalation immediata e rimangono intrappolate nel calcolo geopolitico sulla Regione.

Un fatto che sfugge a tutti è che i generali, che in quell’area sono alti ufficiali con importanti competenze nella repressione  della controinsorgenza, si ritrovano ora con tutti i mezzi di cui sono stati riforniti per giocare il proprio ruolo, hanno messo a tacere scandali, ma sono frustrati perché la strategia di repressione dà limitati risultati. C’è infatti l’illusione di sterminare i terroristi, ma questo pensiero che non ha evidenza empirica. I risultati, anche legati all’intervento della Wagner in Mali, non sono incoraggianti. C’è quindi la frustrazione per essere stati decimati in attacchi sempre più intensi e mortiferi, ma non c’è una via d’uscita militare. Si dice “lo Stato Islamico se ne andrà”, ma senza dire come, mentre i morti civili sono in costante aumento.

Cosa ne pensa delle recenti mosse dell’Ecowas? Si può definire ai minimi storici il rapporto con la Francia e in generale con l’Europa?

Ecowas in questo momento si muove su iniziativa soprattutto dei governi costieri. Non si può pensare che la Nigeria o il Ghana agiscano per conto francese perché sarebbe come negare che gli africani abbiano la capacità di agire autonomamente. Credo inoltre che la Francia abbia metabolizzato che la sua stagione è terminata. L’idea che ci sia una manipolazione della Francia non è credibile. Detto questo Ecowas si trova in una situazione paradossale. Il golpe in Niger è un golpe di troppo. Ecowas è vincolato al principio secondo cui gli Stati si impegnano a riconoscere i colpi di stato di natura militare. Questo ha avuto molte eccezioni, ma oggi siamo al punto in cui Ecowas sposa la linea di un governo il cui presidente è tuttora presente in città, che ha mandato richiesta di intervento, nega che si possa parlare di transizione e sostiene che ci sia da ristabilire l’ordine costituzionale.

È vero che c’è record di intervento di Ecowas dal Gambia alla Liberia e che esiste la percezione delle elite politiche africane che se passa anche il golpe in Niger salta il principio di legittimità e si rischia effetto a catena. Il cosiddetto “contagio” è un tema che si pone tra due principi. Da una parte il fatto che si debba passare da consultazione elettorale all’interno del quadro costituzionale e dall’altra l’importanza di bloccare l’idea che i militari si possano intestare la volontà popolare.

Questo genera contrasti, infatti anche l’Unione Africana era titubante prima di firmare. Ma non dobbiamo dimenticare che la soluzione militare non è l’unica. Io, ad esempio, ho firmato un appello per chiedere un supplemento negoziale, tutto abbiamo bisogno tranne che di un’altra guerra nel Sahel, che avvantaggerebbe solo lo jihadismo. Un modo per espandersi dello jihadismo è proprio legato a uno scontro tra due fazioni, un po’ come abbiamo visto in Libia. Lo jihadismo sta già attaccando gli Stati costieri, a partire da quella prima lezione dei terroristi che avevano colpito gli interessi degli occidentali con i resort nelle spiagge, uscendo dal deserto. È evidente quindi che se gli stati costieri con legittimità democratica attaccano gli stati interni con giunta militare, le forze jihadiste avranno ulteriore legittimazione per espandersi verso la costa e li sì che vedremo il jihad correre veloce verso l’espansione e lo Stato Islamico troverà l’ennesima opportunità di espansione, tanto più se trovano i russi in relativo disordine.

*Foto di Getmilitaryphotos su Shutterstock

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