La rivolta dei cileni

Migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro il rialzo del prezzo della metro e le disuguaglianze del Paese. Le ragioni delle proteste represse nel sangue

di Alice Pistolesi*

Proteste e repressione nell’ottobre cileno. Da martedì 15 Santiago e molte città del Paese sudamericano sono interessate da grandi manifestazioni, degenerate in saccheggi e incendi, accompagnate da una dura repressione militare. Una situazione, quella che ha portato ad oggi ad almeno dieci vittime, decine di feriti e circa duemila arresti, che è stata definita dal presidente Sebastián Piñera come una ‘guerra’.

“Siamo in guerra – ha dichiarato – contro un nemico potente e implacabile. Siamo ben consapevoli del fatto che hanno gradi di organizzazione e logistica, tipici di un’organizzazione criminale”. Parole che agli attivisti delle piazze, o almeno alla parte non violenta, hanno ricordato il periodo iniziale della dittatura di Pinochet, ancora vivo nella memoria di molti.

Ma andiamo per gradi, ricostruendo l’ultima settimana cilena. Nei primi giorni di ottobre il governo cileno annuncia un aumento di 30 pesos del biglietto del treno, arrivando a un costo totale per un biglietto adulti di 830 pesos (1,05 euro). Questo porta la spesa per gli spostamenti a circa 50mila pesos mensili, ovvero un sesto del salario minimo cileno (301.000 pesos dal 1 marzo 2019). Le proteste iniziano martedì 15 ottobre con la decisione di non pagare in massa il biglietto, dandosi appuntamento, in alcune delle fermate della capitale. La risposta delle forze dell’ordine è arrivata fin da subito nella metro con cariche e attacchi ed è proseguita in strada, dove le persone si erano riunite per un “cacerolazo”.  Sabato 19 viene dichiarato lo stato di presidio di grado 2 per l’Esercito del Cile, ovvero tutto il personale militare celibe/nubile deve rimanere di stanza dentro le caserme e in stato di allerta mentre il personale sposato deve rimanere reperibile. Le proteste in strada non si placano: vengono incendiate alcune stazioni del metro, le scale antincendio del palazzo dell’Enel in centro a Santiago.

Metro Toesca, Santiago, venerdì 19 ottobre 

Santiago, domenica 20 ottobre 

Subito dopo nella Capitale viene dichiarato lo stato di emergenza, che in Cile dura 15 giorni con la possibilità di essere rinnovato per altri 15 e comporta restrizioni nella libertà di circolazione e di riunione. Una misura che risale al periodo dittatoriale e che viene vissuta dai manifestanti in maniera molto negativa: in molti hanno infatti deciso di ignorarla e si sono riversati in piazza battendo coi i mestoli sulle pentole.

Da Santiago la protesta arriva a Valparaíso, Concepción e altre città come Rancagua, Calama, Antofagasta. Nel pomeriggio viene poi proclamato il coprifuoco a Santiago, Valparaíso e Concepción ma le proteste continuano e portano all’incendio di supermercati e della sede del giornale Mercurio. Il presidente Piñera annuncia a quel punto il ritiro del rialzo del biglietto della metro. Le proteste sono però inarrestabili e domenica viene proclamato lo sciopero generale di studenti e lavoratori, previsto per oggi.

In rete sono stati diffusi e resi virali tramite i social molti video che testimoniano la repressione dei militari contro la gente, contro le case ed episodi di violenza generalizzata. Per questo l’organizzazione Amnistía Internacional e l’Instituto Nacional de Derechos Humanos stanno monitorando la situazione e informando i cittadini sui diritti che devono esigere dalle Forze Armate durante il coprifuoco e lo stato di emergenza in generale.

L’aumento del prezzo della metro può essere considerato come la famosa goccia che fa traboccare il vaso.  “Non è per i 30 centesimi, è per i 30 anni”, recita infatti uno degli slogan provenienti dalle piazze cilene. Trent’anni in cui il Paese è stato intrerssato da forti ondate liberiste che hanno reso costosa e complicata la vita nel Paese. In Cile, secondo i dati della Fundación Sol, circa il 50% dei lavoratori e delle lavoratrici guadagnano 400mila pesos mensili o meno, mentre ci sono circa 1800 persone (0,01% della popolazione) che ha uno stipendio mensile pro capite di circa 576.482.429 pesos. Questi e altri dati hanno fatto ‘guadagnare’ al Cile il settimo posto al mondo con più disuguaglianza sociale, stando ad uno studio della Banca Mondiale del 2016. 

Ma non solo, sono molte altre le motivazioni delle piazze cilene: il rifiuto della diminuzione della settimana lavorativa da 45 a 40 ore, i numerosi casi di corruzione che hanno coinvolto anche le forze armate (Pacogate, Milicogate, Caso Penta), il sistema pensionistico privato, il rifiuto dell’annullamento del Cae (debito pubblico scolastico) e la prosecuzione con l’istruzione privata.

*Ha collaborato all’articolo Silvia Carradori

Di seguito la traduzione in spagnolo

La rebelión del pueblo chileno.

por Alice Pistolesi *

Protestas y represión en el octubre chileno. Desde el martes 15, Santiago y muchas más ciudades del país latinoamericano han sido el escenario de grandes manifestaciones, degeneradas en saqueos e incendios y acompañadas por una dura represión militar. Esta situación ha llevado, hasta ahora, a por lo menos 10 víctimas, decenas de heridos y alrededor de 2000 detenciones.

“Estamos en guerra – ha declarado el presidente Sebastián Piñera – contra un enemigo poderoso e implacable. Estamos muy conscientes de que tienen grados de organización, de logística, típicos de una organización criminal”. Con estas palabras los activistas en las calles se recordaron del momento inicial de la dictadura de Pinochet, un periodo que sigue vivo en la memoria de muchos.

Un paso a la vez, vamos reconstruyendo la última semana en Chile. En los primeros días de octubre el gobierno anuncia el alza de 30 pesos en el pasaje del metro, alcanzando el precio total de 830 pesos (1,05 euro) para un pasaje para adultos. Esto eleva el gasto a unos 50.000 pesos mensuales, o sea, un sexto del salario mínimo chileno (301.000 pesos desde el 1 de marzo 2019). Las protestas empiezan martes 15 de octubre con la evasión masiva en el Metro de Santiago. La respuesta de las FFAA llega desde el principio con cargas y ataques en el metro y luego en las calles, donde la gente se había reunido para los cacerolazos. Sábado 19 se decreta el acuartelamiento en grado dos de todas las unidades del Ejército de Chile, a saber, todo el personal soltero tiene que permanecer en los cuarteles en estado de alerta, mientras el personal casado debe ser ubicable. Las protestas en la calle no se placan y además se queman algunas estaciones de metro y las escaleras de emergencia del edificio de Enel en el centro de Santiago.

Inmediatamente después en la Capital se declara el Estado de Emergencia, que en Chile dura 15 días con la posibilidad de prórroga de 15 días más y que implica la restricción de la libertad de locomoción y de reunión. Esta medida recuerda el periodo de la dictadura y los manifestantes la juzgan negativamente: muchos deciden ignorar la restricción y bajan a la calle con ollas y cucharones.

Desde Santiago la protesta llega a Valparaíso, Concepción y otras ciudades como Rancagua, Calama, Antofagasta. Luego, en la tarde se declara el toque de queda en Santiago, Valparaíso y Concepción; sin embargo, las protestas no paran y se queman supermercados y la sede del Mercurio, periódico nacional. Entonces, el presidente Piñera anuncia el retiro del alza del pasaje del metro, pero las protestas son imparables y el domingo se llama a una huelga general de estudiantes y trabadores para el día de hoy, lunes 21 de octubre.

En la red se han difundido y viralizado muchos videos que testimonian la represión de los militares contra la gente y las casas, y episodios de violencia generalizada. Por eso, asociaciones como Amnistía Internacional y el INDH están monitoreando la situación e informando a los ciudadanos sobre los derechos que tienen que exigir por parte de las FFAA durante el toque de queda y el Estado de Emergencia en general.

El alza del precio del metro se puede considerar como la gota que derramó el vaso. “No es por los 30 pesos, es por los 30 años”, dice una de las consignas en las plazas chilenas. Treinta años en los que el país se vio afectado por fuertes olas liberales, que aumentaron el costo de la vida y dificultaron la sobrevivencia en el país. Según datos de la Fundación Sol, en Chile alrededor del 50% de los trabajadores y las trabajadoras gana 400 mil pesos mensuales o menos, mientras alrededor de 1800 personas (0,01% de la población) reciben un salario mensual per cápita de aproximadamente 576.482.429 pesos. Esos datos y muchos más permitieron que Chile ‘se ganara’ la sexta posición en el grupo de los países del mundo con más desigualdad social, según un estudio de 2016 del Banco Mundial.

Pero no es solo esto, las razones de las plazas chilenas son muchas más: el rechazo a la propuesta de una reducción de 45 a 40 horas de la semana laboral, los numerosos casos de corrupción en los que están involucradas también las FFAA (Pacogate, Milicogate, Caso Penta), el sistema de jubilación privado, el rechazo a la propuesta de anular el CAE (deuda escolar) y el mantenimiento de la educación privada.

* Ha colaborado en el artículo Silvia Carradori

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