L’antenato della Dichiarazione

Diritti universali: le tracce lontane nella lettera di un francescano bosniaco al Sultano della Sublime Porta

di Edvard Cucek

Ivan Frano Jukic

Sono passati 70 anni da quanto è stata pubblicata per la prima volta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. E’ interessante scoprire come, poco meno di cent’anni prima, il primo maggio del 1850, un francescano bosniaco di nome Ivan Frano Jukic avesse scritto alla Sublime Porta, a Istanbul, una lettera che può essere considerata un’antenata della Dichiarazione del 1948. La lettera fu scritta da un uomo che era un suddito dell’Impero Ottomano di religione cattolica. Era originario di Banja Luka (Bosnia), vissuto in tempi di forti turbolenze politiche e diffidenze verso le popolazioni di religioni non musulmane nel territorio dell’Impero. In una introduzione abbastanza lunga, prima di elencare in 28 punti tutto ciò che i cristiani bosniaci – emarginati nel Impero Ottomano – “umilmente chiedono al Sultano Abdul Medjid”, frate Jukic scrisse anche questo;

“Vostra Maestà!

Vi sono più di 600.000 cristiani che vivono nei due eialet (distretti) della Bosnia ed Erzegovina. I Vostri fedeli sudditi, ribadendo la propria fedeltà verso l’alto devlet (Stato) turco confermata per 4 secoli, umilmente domandano che Voi, con la Vostra bontà e natura generosa, ci guardiate e possiate ascoltare le nostre grida disperate, concedendoci le seguenti misericordiose grazie;

1. che non ci chiamano più raja (it. raia), ma sudditi e cittadini del intero Impero turco ( il nome raja (raia) era “riservato” alle popolazioni del Impero Ottomano di seconda classe, una specie di schiavitù in semilibertà ndr).

2. Che davanti ai tribunali diventiamo uguali ai Turchi e che le decisioni non vengano prese basandosi sulla appartenenza religiosa, ma sempre sulla giustizia.

3. Che tutte le sure (sciure) siano composte da appartenenti in numero pari di entrambe le religioni, mussulmana e cristiana (sura era una specie di consiglio composto dai vari rappresentanti della popolazione, un organo simile alla giuria al quale si rivolgeva anche il giudice –kadija durante i processi di giudiziari ndr).

4. le tasse e “decime” cristiane siano per conto loro e Turchi per conto loro raccolgano e li portino al grande Visir ( governatore).

5. Tasse e dazi non si determinino in base al numero delle abitazioni, ma in base alle proprietà e alla situazione economica.

6. L’Harac, l’imposta che ogni famiglia cristiana deve pagare per ogni maschio del nucleo familiare, venga per sempre abrogata in quanto contrario alla eguaglianza dei popoli nel Impero.( harac era una imposta secondo la quale il Sultano aveva diritto di chiedere la somma di denaro per ogni maschio vivo in famiglia come una specie di garanzia della fedeltà all’Impero e di conseguenza essere libero ndr).

7. Che anche i cristiani possano entrare nell’esercito del Impero, anche come ufficiali e che abbiano i propri preti tra di loro.

8. Che la “decima reale” si calcoli come tassa e si paghi con il denaro (la decima reale era una tassa che, tradizionalmente, veniva imposta chiedendo per il Re un decimo del raccolto annuale. Essendo difficilmente calcolabile e sempre a sfavore dei contadini cristiani, la richiesta voleva che diventasse un’imposta di valore pari a tutti i cittadini ndr).

9. Che i contadini non debbano pagare altro tranne un sesto del raccolto di grano, fieno e tabacco e i padroni non debbano per loro pagare le tasse all’Imperatore, come i primi non debbano portare i guadagni propri a casa del padrone

10. Che mai il padrone possa sfrattare il contadino dai propri poderi di sua volontà, ma soltanto se si dimostra davanti al giudice la malafede del contadino e pagando prima dello sfratto, al contadino, tutte le spese sostenute per i disboscamenti, coltivazioni ed altro.

11. Che il lavoro gratuito ai beg, conosciuto come beglucenje, non avvenga mai più (si tratta di lavori che i contadini cristiani erano costretti ad eseguire per i beg, nobili proprietari turchi o soltanto slavi mussulmani, a titolo gratuito).

12. Tutte le spese dei viaggi, spostamenti e mantenimento dei funzionari del Impero in Bosnia che vengano pagate dalle casse reali.

13. Via sia la manutenzione delle strade e dei ponti, degli uffici postali ed altro per promuovere il commercio e l’artigianato e che al più presto diventi a carico del governo reale.

14. Che lo stesso governo reale permetta e sostenga economicamente anche le tipografie per i cristiani

15. Che non sia impedito ai cristiani del rito ortodosso di eleggere da soli i suoi episcopi, i quali conoscono la lingua e le usanze di queste terre e che dalla Vostra Maestà vengano poi confermati.

16. Che vi sia il libero esercizio del proprio credo e religione e che ci venga consentito di riparare, ampliare e laddove vi è necessità ricostruire le vecchie chiese e i monasteri, ed avere i campanili e le campane e liberamente e pubblicamente celebrare i nostri riti religiosi.

17. Che il mercato domenicale venga spostato ad un altro giorno feriale.

18. Che ci sia concesso liberamente, in ogni comune, di aprire le scuole e se necessario invitare e ospitare gli insegnanti dagli altri paesi o, per migliorare l’istruzione, inviare i nostri studenti in altri stati e paesi.

19. Che anche i nostri studenti (cristiani bosgnachi), futuri ingeneri e medici vengano accettati nelle università di Istanbul, con la borsa di studio del Imperatore (gli abitanti della Bosnia ed Erzegovina a differenza di altre minoranze nel Impero Ottomano non godevano i vantaggi di poter studiare nella capitale ed avere una borsa di studio).

20. Che anche noi possiamo avere i nostri due rappresentanti nel Vostro Alto Consiglio (devlet) e che si faccia in modo che tutte le nostre richieste Vi vengano fedelmente riferite (la prassi per secoli non permetteva che nessuna richiesta dei cattolici bosniaci, passata sempre per le mani dei funzionari locali, arrivasse direttamente al Sultano, senza prima essere modificata. A volte veniva “persa” o diventava ragione di pesanti ritorsioni verso i richiedenti ndr).

21. Che tutti i pubblici ufficiali, turchi o cristiani, vengano stipendiati dalle casse dell’Impero.

22. Che venga abrogata cosiddetta “krvarina”, tassa del sangue, in caso di omicidio. Che per questo reato non paghino più i paesani, ma il giudice (tur. Kadija) cerchi e condanni l’omicida (questa tassa veniva imposta a tutti i contadini del paese del delitto e la metà andava data alla famiglia della vittima e l’altra metà ai vari collaboratori del giudice per le indagini parzialmente o mai svolte ndr).

23. Che la Bosnia e l’ Erzegovina tornino ad essere governate da un solo funzionario. Questo come un risparmio sia per le casse dell’Impero che per i suoi sudditi (quando dalla Bosnia venne separata la regione dopo nominata Erzegovina, come riconoscimento ai nobili locali per la fedeltà al Sultano, fu insediato un altro funzionario, anche nella sede della regione Mostar. Così poveri ed emarginati bosniaci dovevano mantenere due funzionari di solito corrotti e crudeli ndr).

24. Che commercio e artigianato siano concessi a tutti, a prescindere all’appartenenza religiosa (non era permessa agli “infedeli” per esempio la lavorazione di cuoio, pelle per le cinture e cuoio. Vendere il miele o il burro ai cristiani era altrettanto proibito ndr).

25. Che tutta la contabilità delle entrate e uscite del denaro dell’Impero venga pagata dalle casse statali e venga resa pubblica all’intero popolo.

26. Che tutte le decisioni e gli avvisi dell’Imperatore vengano comunicati anche in lingua bosniaca, perché con il sistema d’informazione usato sino ad oggi non siamo mai stati certi di ciò che ci si comunica e di che cosa ci si chiede.

27. Che siamo liberi di incontrarci tra di noi, senza armi, per discutere dei temi di scuola, istruzione, economia e altro.

28. Che ci sia concesso di trasferirci in altri paesi e stati, anche al di fuori dell’Impero Ottomano.

Queste sono le nostre umili domande e preghiere, fondate sul principio di eguaglianza. Il principio quale il Vostro caro e ben ricordato padre e Voi, suo laborioso erede, avete tante volte in passato solennemente ribadito, ma che nelle nostre terre, sempre a causa di spiacevoli circostanze, mai si potevano realizzare.”

Più di venti di queste 28 domande e richieste indirizzate 168 anni fa al grande Sultano Imperatore Ottomano trovano incredibile corrispondenza, ovviamente tenendo conto dei contesti storici diversi, con altrettante della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Frate Jukic pagherà questo generoso e folle gesto con una specie di isolamento dai circoli ai quali apparteneva. Gli sarà anche proibito di tornare nella sua patria. Forse era tropo avanti, forse era un visionario. Fatto sta, che la sua salute – già precaria – precipitò e peggiorò molto velocemente. Morì a Vienna, a soli 39 anni. Le sue opere letterarie, come lo straordinario impegno nel tentare di migliorare le condizioni di vita dei bosniaci di ogni religione, stanno tornando ora alla luce.

Nell’immagine di copertina il fiume Neretva

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