L’Italia e i conti col 25 aprile

Anche questa volta abbiamo permesso noi, ai fascisti, di governarci. Esattamente come cent’anni prima, sono arrivati al governo fra gli applausi della folla

di Raffaele Crocco

È vero: è un 25 aprile differente dagli altri. Per la prima volta da 78 anni, possiamo renderci conto di non esserci liberati. Non ci siamo liberati dal fascismo. A dimostrarcelo non è tanto il fatto di essere governati di nuovo da fascisti, no. È che anche questa volta abbiamo permesso noi, ai fascisti, di governarci. Esattamente come cent’anni prima, sono arrivati al governo fra gli applausi della folla.

Questo dimostra che Mussolini aveva ragione quando dichiarava di non aver inventato il fascismo, “ma averlo tratto dalla pancia degli italiani”. Il fascismo ce lo portiamo dentro, con quel caratteristico miscuglio di opportunismo e violenza che non ne fa mai un’ideologia. Il fascismo è una prassi, è un modo d’essere che prescinde quello in cui si pensa di credere. Si coltiva nella tolleranza data, ad esempio, all’evasione fiscale, al culto della raccomandazione, al mito della furbizia che scavalca la legge e le regole. Cresce nella scarsa voglia di cultura, nella convinzione che i soldi si possano guadagnare facilmente e alla faccia degli altri, nella certezza che la cosa pubblica va utilizzata sempre e solo per il proprio interesse personale.

Finita la guerra di liberazione, abbiamo evitato accuratamente di estirpare dalla nostra pancia il fascismo. Lo abbiamo lasciato nella pubblica amministrazione, nella polizia, nell’esercito, dove chi era fascista è rimasto al proprio posto per decenni. Non lo abbiamo sradicato, evitando di insegnare alle ragazze e ai ragazzi come si diventa cittadini di un Paese democratico, non concludendo i programmi di storia, raccontandoci che il “ventennio”, in fondo, era stato all’acqua di rosa. Non abbiamo insegnato ai cittadini e alle cittadine nulla della Costituzione – che è antifascista dalla prima all’ultima lettera -, non abbiamo mai spiegato la bellezza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Questo 25 aprile del 2023 è semplice il traguardo logico, naturale, ovvio, di questi 78 anni di colpevole e studiata trascuratezza. È la forma compiuta di una rivincita. È la faccia pulita non del cosiddetto “neofascismo”, che non site, ma del fascismo che è sempre stato, non è mai scomparso.  Come poteva sparire, d’altro canto, se negli ultimi anni il maggiore partito di sinistra, involuzione opportunistico-borghese del Pci, ha evitato di portare le proprie bandiere in piazza per il 25 aprile. Le porterà quest’anno, per dovere (e opportunismo) di opposizione. In quegli stessi anni, abbiamo permesso ai fascisti – sparsi in altri partiti e sotto altre bandiere – di mettere sullo stesso piano orrori che sono profondamente diversi, cioè la Shoah e le Foibe. Sono gli stessi anni in cui abbiamo lasciato che i fascisti dicessero di essere cambiati, senza però rinnegare nulla: non il razzismo, non la violenza, non il passato criminale di un regime assassino.

Ora, 25 aprile 2023, morti i testimoni di quella Guerra di Liberazione che non fu in alcun modo guerra civile, scomparsi i combattenti, ognuno potrà interpretare le cose come vorrà, trovando il significato più utile e la migliore formula per far dimenticare le camicie nere, i pestaggi, la mancanza di libertà e sogni. Mussolini tornerà ad essere “il più grande statista del XX secolo”, come diceva Meloni in una vecchia intervista e la Costituzione potrà ufficialmente essere smontata, svuotata, reinterpretata. Il senatore La Russa lo sta già facendo.

La festa che faremo oggi rischia di diventare una festa per vecchi nostalgici, gente che credeva nel sogno che ci avevano regalato i partigiani le partigiane. Gente anche simpatica, un po’ naif, ancora convinta – pensate un po’ – che la Repubblica Italiana sia fondata sull’antifascismo.

In copertina partigiani garibaldini in piazza San Marco a Venezia nei giorni della liberazione

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