È molto preoccupante l’aumento delle violazioni dei diritti umani in Mali dallo scorso agosto. A dirlo, martedì 29 giugno, è stata l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet. La Missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) ha registrato 617 violazioni dei diritti umani, tra cui 165 omicidi (147 uomini, nove donne, sette ragazzi e due ragazze) da parte di gruppi armati da gennaio a giugno 2021. Numeri che segnano un aumento di circa il 37% rispetto alla violenza documentata tra agosto a dicembre 2020. Negli ultimi mesi a firmare con il sangue gli attacchi sono stati principalmente gruppi come Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimin (Jnim) e lo Stato Islamico nel Grande Sahara (Isgs).
In forte aumento anche i rapimenti, effettuati per la maggior parte da parte di gruppi armati e milizie nel Mali centrale, in particolare la milizia Da Na Ambassagou e gruppi armati come Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimin (Jnim). Durante i primi sei mesi del 2021, la missione Minusma ha documentato almeno 328 rapimenti (307 uomini, 11 ragazzi, nove donne e una ragazza). Nel 2020 erano stati 187 i casi documentati.
Anche lo Stato partecipa alla violazioni. La missione ha riferito che si è passati dalle 53 violazioni registrate tra agosto e dicembre 2020 alle 213 tra gennaio e giugno di quest’anno. Tra queste, 155 sono state perpetrate dalle forze di difesa e sicurezza maliane (Mdsf), comprese esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie di 44 civili. Le 155 violazioni rappresentano circa il 73% del totale di quelle commesse da attori statali.
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“Esorto – ha dichiarato Michelle Bachelet – nuovamente le autorità maliane a interrompere il ciclo dell’impunità e a stabilire indagini tempestive, approfondite, imparziali ed efficaci su tutte le accuse di violazioni e abusi dei diritti umani, comprese quelle commesse dai militari. La responsabilità deve prevalere per garantire la pace”.
Il Mali ha subito due colpi di stato militari negli ultimi nove mesi. Le autorità di transizione si sono impegnate a rispettare un calendario che prevede le elezioni per il prossimo febbraio.
L’instabilità e la violenza dell’area sono lampanti da tempo. Ad aprile, la Coalition citoyenne pour le Sahel, che riunisce associazioni e rappresentanti della società civile del Sahel ha pubblicato un rapporto nel quale si definisce il 2020 come l’anno più mortale per i civili, con quasi 2.440 morti in Burkina Faso, Mali e Niger e circa di 2milioni di persone che hanno dovuto abbandonare le proprie case. Una cifra aumentata di venti volte in due anni. Sei sfollati su dieci sono bambini e circa 13milioni di ragazze e ragazzi non possono andare a scuola. Il rapporto mette poi in evidenza come questa violenza stia alimentando le tensioni comunitarie, in un contesto di competizione per l’accesso alle risorse aggravata dal cambiamento climatico. La tensione contribuisce poi ad indebolire ulteriormente la fiducia delle popolazioni in Stati già minata da una grave crisi di governance. L’insicurezza nel Sahel inizia, secondo quanto rilevato dal rapporto, a destabilizzare il resto dell’Africa occidentale, in particolare i paesi del Golfo di Guinea.
di Red/Al.Pi.
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