Nagorno-Karabakh: cercasi soluzioni

Con il riaccendersi del conflitto, si torna a parlare delle possibili strade per la pacificazione. Un'intervista a Mario Raffaelli ex capo della conferenza di pace tra Armenia e Azerbaigian del 1992

di Danilo Elia

Il suono delle bombe in Nagorno-Karabakh fa da contraltare al silenzio delle sale ovattate in cui sono andati in scena i ripetuti fallimenti della diplomazia negli ultimi tre decenni. La Regione, all’interno dell’Azerbaigian ma abitata da una maggioranza armena, non è mai stata pacificata. Un armistizio ha più o meno retto dal 1994, ci vollero sei anni di guerra e 30mila morti. La guerra è rimasta stata congelata e da allora il Nagorno-karabakh è controllato da un governo separatista. L’Azerbaijan però non ha mai accettato la situazione. E con il riaccendersi del conflitto, si torna a parlare di possibili soluzioni. Non solo nell’immediato. Mario Raffaelli, trentino, è stato a capo della conferenza di pace tra Armenia e Azerbaigian nel 1992 a Roma, forte della sue esperienza di sottosegretario agli Esteri dal 1983 al 1989.

La sua è stata sempre un’idea piuttosto chiara del groviglio caucasico. Con una proposta di pacificazione sul modello italiano dell’Alto Adige. Da dove si comincia?

“L’appello da lanciare è a fermare immediatamente l’escalation perché in questo caso differentemente al passato potrebbe scappare di mano in un’area con il Caucaso delicatissima e dove ci sono potenze come la Russia come l’iran e come la Turchia che hanno spesso interessi confliggenti e che potrebbero evidente portare un argomento il conflitto se non si intervenisse con rapidità e con efficacia”.

Per questo lei propone di prendere a modello il Trentino-Alto Adige. Dove le istanze delle comunità di lingua tedesca e ladina sono state tutelate con un accordo bilaterale tra Italia e Austria che garantisce ampi ambiti di autonomia alle province, in un quadro normativo garantito dalle Nazioni Unite.

“Si tratta di un’idea che lanciai nel ‘93 e ai due presidenti di allora, Aliyev padre e Ter-Petrossian, partendo da un fatto molto semplice: che le due posizioni che hanno i paesi in conflitto non hanno nessuna possibilità di realizzarsi. Nel senso che l’indipendenza del Nagorno-Karabakh è una richiesta che non avrà futuro mai. La stessa Armenia, dopo 30 anni, non l’ha ancora riconosciuto perché internazionalmente non sarebbe permesso senza l’accordo l’Azerbaigian. Ma d’altra parte, anche l’offerta all’azerbaigian di una rinnovata autonomia interna, non è certamente adeguata. Per questo
la mia proposta, che ho ripetuto anche di recente a Baku, è una terza via, una soluzione di un’autonomia interna ma con garanzia internazionale, che è l’unicità dell’esempio dell’Alto Adige Sudtirolo. Questa potrebbe essere una via d’uscita”.

Una via d’uscita per un dilemma tra l’Armenia che supporta l’autonomia della regione, e l’Azerbaigian che ne rivendica il suolo. Quella del Nagorno-Karabakh, è una geografia disegnata sul terreno dai carri armati. La situazione in Alto Adige era diversa.

“Non era guerra all’epoca, ma un conflitto sia pure di bassa intensità. Abbiamo avuto anche noi i nostri morti, gli attentati e i militari che pattugliavano le ferrovie. Il punto però è che le quattro risoluzioni delle Nazioni Unite, che io stesso ho ispirato all’epoca, tuttora esistenti ma non ancora implementate, partono proprio dal principio della restituzione dei territori occupati da parte delle forze armene come possibilità per aprire la strada a un dialogo”.

In Nagorno-Karabakh, però, stiamo assistendo oggi forse più che in passato, agli interessi delle potenze regionali – Russia e Turchia – che sembrano quasi prevalere sulle cause locali del conflitto.

“Sempre in questi casi ci sono forze che giocano per la destabilizzazione, ma ci sono anche interessi che possono giocare a l’opposto, soprattutto di natura economica. L’Azerbaigian non è quello di 30 anni fa, è cresciuto molto economicamente, sta investendo in molti paesi come la Georgia. Una situazione di pace di stabilità avrebbe dei riflessi positivi dal punto di vista economico e sociale per Baku. Anche l’Armenia, però, oggi è in un vicolo cieco perché la Turchia ha bloccato le frontiere e si trova ad avere il supporto solo delle della Russia. Quindi anche l’Armenia ha interesse a una soluzione definitiva e pacifica”.

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