Srebrenica, 25 anni fa

a cura di Alice Pistolesi

Tra il 12 ed il 19 luglio 1995 veniva compiuto il massacro di Srebrenica, la peggiore esecuzione di massa in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Nel 1993 le truppe delle Nazioni Unite avevano preso il controllo della cittadina della Bosnia Erzegovina Orientale, a pochi chilometri dal confine con la Serbia, in una stretta enclave. L’Onu decise di crearvi una “safe area,” ovvero una zona posta sotto la sua protezione sia militare che umanitaria, che avrebbe permesso ai civili di trovare ristoro e protezione.

L’intento fallì e la cittadina venne messa sotto assedio delle forze serbo-bosniache guidate da Radko Mladic. Il contingente delle Nazioni Unite, composto da 429 soldati di origine olandese, si arrese alle truppe. Quel che ne seguì è una delle pagine più orrende della storia europea: la deportazione di circa 30mila tra donne e bambini e l’uccisione con colpi di arma da fuoco di 8.372 uomini bosniaci di religione mussulmana, che vennero poi gettati in fosse comuni sparse nella Bosnia Nord-Orientale.

Secondo le ricostruzioni fu proprio l’episodio di Srebrenica a dare il via ai bombardamenti a tappeto Nato, culminati nell’Operazione Deliberate Force del 1995. Il quadro storico in cui la strage di Srebrenica è stata compiuta è quella delle guerre seguite alla fine della Jugoslavia degli anni ’90. Prima la Slovenia e la Croazia, poi la Bosnia Erzegovina in seguito ad un referendum, e infine il Kosovo vennero attraversati da conflitti inter-etnici caratterizzati da operazioni di pulizia etnica e da altri crimini di guerra contro i civili. Fatti accertati e giudicati da una Corte Penale Internazionale istituita ad hoc.

I colpevoli

Nel novembre 2017 Ratko Mladić è stato condannato, in primo grado, all’ergastolo per crimini di guerra. Il tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia (Tpi) ha giudicato Mladic colpevole di dieci capi d’accusa sugli undici per il quale era processato. Tra questi crimini c’è anche il genocidio di Srebrenica. Fu infatti proprio l’ex generale serbo a ordinare il massacro di tutti i maschi adulti e adolescenti.

“A Sarajevo – avevadetto Alphons Ope, giudice del Tribunale per la ex Jugoslavia leggendo la sentenza – Ratko Mladic volle portare avanti una campagna micidiale di bombardamenti e cecchini e a Srebrenica volle perpetrare genocidio, persecuzione, sterminio, assassinio e atti disumani attraverso trasferimenti forzati”.

Il generale Ratko Mladic, al comando delle forze serbo-bosniache e denominato anche “boia di Srebrenica”, venne arrestato solo nel 2011, dopo ben 15 anni di latitanza.  La sentenza di appello dell’ex capo militare serbo Ratko Mladic è stata rinviata dal tribunale delle Nazioni Unite a causa della pandemia di Covid-19.

Finora, il tribunale dell’Aia e i tribunali dei Balcani hanno condannato 47 persone a più di 700 anni di prigione, oltre a quattro ergastoli, per crimini di Srebrenica. Tra questi anche il leader separatista serbo bosniaco, Radovan Karadžić, condannato nel 2016 a quarant’anni. Complessivamente il tribunale ha condannato 90 imputati per crimini di guerra.

Accanto alla giustizia internazionale, anche quella bosniaca fa (lentamente) i propri passi. Dal 2015 è stato avviato un solo nuovo processo presso il tribunale statale bosniaco contro Milomir Savcic, il capo dell’organizzazione che rappresenta i veterani militari serbi bosniaci, accusato di aver contribuito alla al genocidio nel luglio 1995. L’imputato si è dichiarato non colpevole. Savcic è accusato di aver pianificato, comandato e supervisionato le azioni dei suoi subordinati durante il sequestro di diverse centinaia di uomini bosniaci nell’area di Nova Kasaba. Secondo le accuse, tra l’11 e il 15 luglio 1995, Savcic ha fornito assistenza ad altri partecipanti in un’impresa criminale comune volta a catturare, eseguire e seppellire uomini bosniaci da Srebrenica.

La 'responsabilità molto limitata' dell'Olanda

L’Olanda ha avuto “una responsabilità molto limitata” per la morte di circa 350 uomini bosniaci musulmani nell’area di Srebrenica. A dirlo è stata la Corte suprema, organo di terza e ultima istanza della magistratura ordinaria olandese, nella sentenza del 19 luglio 2019. Un verdetto che ha generato delusione e rabbia tra le associazioni di vittime e nella società civile.

L’Olanda era sotto accusa per l’operato del Dutchbat, il contingente di caschi blu Onu, che dal 1994 si trovava di stanza in una fabbrica abbandonata di Potočari a Srebrenica, una delle sette “zone protette” che avrebbero dovuto difendere la popolazione civile “con tutti i mezzi necessari, incluso quello della forza”, stando alla risoluzione 819 del Consiglio di Sicurezza dell’aprile 1993.

Il percorso giudiziario era iniziato nel giugno 2007 in seguito alla denuncia dell’associazione Madri di Srebrenica e di altri familiari e sopravvissuti al massacro. La Corte ha limitato la propria competenza alle fasi successive all’11 luglio 1995, ovvero quando, dopo aver lasciato la base il Dutchbat tornò sotto il controllo del governo olandese, ma ha escluso il periodo in cui il battaglione era sotto l’egida dell’Onu.

Come riportato da Balcanicaucaso.org la sentenza definitiva afferma che il Dutchbat “agì irregolarmente” nell’evacuazione dei circa 350 uomini bosniaci musulmani che erano riusciti a nascondersi nella base di Potočari dopo l’11 luglio. La stessa sentenza ricorda che in totale furono circa 25.000 le persone che cercarono rifugio presso la sede del Dutchbat. Il 12 luglio il battaglione fece evacuare tutta l’area della base, pur essendo a conoscenza che le forze serbo-bosniache stavano separando gli uomini adulti dalle donne e dai bambini e potendo prevedere che avrebbero commesso dei crimini. La sentenza, come quelle precedenti, ha assolto il Dutchbat per questa condotta, affermando che “anche se avesse smesso di coordinare l’evacuazione, i serbo-bosniaci avrebbero continuato a separare gli uomini dagli altri sfollati e li avrebbero portati altrove”.

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