di Marta Cavallaro
La violenza e il terrore che intrappolano la Somalia da più di quindici anni si sono materializzati più evidenti che mai nei diversi attentati perpetuati dal gruppo Al-Shabaab nelle ultime settimane in diverse aree del Paese. L’attacco di lunedì 7 novembre contro una base militare nazionale a Qayib, nella regione di Galgaduud, è stato solo l’ultimo di una lunga serie. Due giorni prima un attacco kamikaze nelle vicinanze di un campo di addestramento militare a Mogadiscio aveva già provocato 11 feriti e ucciso 5 persone. La settimana precedente due auto erano state fatte esplodere in prossimità di una scuola e del Ministero dell’Istruzione, sempre a Mogadiscio, nell’assalto più letale degli ultimi cinque anni. L’attacco aveva causato circa 100 morti e più di 300 feriti, da aggiungersi alle 9 vittime dell’attentato del 23 ottobre nella città portuale di Kismayo nel Sud del Paese.
Nonostante nelle ultime settimane la violenza sia emersa più evidente che mai, la guerra contro Al Shabaab, gruppo terrorista di matrice islamista affiliato ad al-Qaeda, dilania il Paese da tre lustri. Il gruppo nasce come ala esecutiva all’interno dell’Unione delle Corti Islamiche, che, all’indomani della caduta del regime di Siad Barre, aveva sfidato i signori della guerra di Mogadiscio, arrivando a controllare la capitale e diverse aree della Somalia centromeridionale. Dopo l’invasione dell’Etiopia nel 2006, che spodestò le corti islamiche a favore del Governo Federale di Transizione sostenuto a livello internazionale, Al-Shabaab è diventato il veicolo della resistenza armata contro l’invasione straniera e il nuovo regime. Nel 2011 il gruppo sembrava essere stato sconfitto grazie all’intervento di AMISON, Missione dell’Unione Africana in Somalia, che nel 2007 aveva sostituito le truppe etiopi con l’obiettivo di stabilizzare il Paese. Sopraffatto da AMISON e ostacolato da una serie di divisioni interne, Al-Shabaab si era ritirato da Mogadiscio. L’offensiva però non si è mai spenta: negli anni Al-Shabaab si è ripreso riconquistando diverse zone rurali della Somalia centro-meridionale, dove ha messo le radici con un controllo solido e duraturo.
Le divisioni interne sono alla base del fallimento di tutte le operazioni militari del Governo somalo e dei suoi partner stranieri. Le tensioni tra il Governo centrale e le autorità regionali, che si sono inasprite nel corso del mandato dell’ex Pesidente Farmajo, hanno spesso sottratto risorse e tempo alla guerra contro Al Shabaab. Il nuovo Presidente Hassan Sheikh Mohamud è stato eletto a maggio di quest’anno promettendo una nuova offensiva totale che ha però riportato risultati limitati.
Vista la capacità di adattamento e la resilienza dimostrata negli anni, Al Shabaab rimane una minaccia potente. Dal 2011 il gruppo predilige gli attacchi asimmetrici agli scontri frontali e diretti con gli avversari. Mantenendo un dominio costante nelle zone rurali della Somalia centro-meridionale, Al Shabaab opera tramite imboscate e attentati, meno costosi in termini di risorse ma più letali in quanto a vittime tra la popolazione civile, nelle città sotto il controllo del governo. Fornendo servizi di base nelle località sotto il suo controllo, il gruppo riesce a reclutare nuovi militanti e a generare entrate. Al Shabaab non è di certo popolare agli occhi del popolo somalo, ma nelle aree sotto il suo dominio non è raro che venga percepito come un attore tanto legittimo quanto le autorità centrali, distanti e corrotte agli occhi di una buona fetta della popolazione lontani dai centri urbani.
Incapaci di sopraffare totalmente l’avversario, le due fazioni rimangono paralizzate in un ciclo di guerra perpetua. La prospettiva di una vittoria militare è lontana per entrambe le parti. Il deterioramento della crisi climatica nel Paese complica le cose. La siccità, una delle peggiori a colpire il Corno d’Africa negli ultimi decenni, ha aumentato l’insicurezza generale alimentando i conflitti tra le comunità locali per l’accesso alle risorse naturali. In assenza di un intervento tempestivo, reso ancora più improbabile dall’intensificarsi delle ostilità, la carestia e l’insicurezza alimentare stanno già uccidendo centinaia di migliaia di persone.
Secondo un report pubblicato quest’anno dall’International Crisis Group, è arrivato il momento di aprirsi al dialogo. Il report riporta il punto di vista di più di 150 funzionari del Governo, membri delle forze di sicurezza, esponenti della società civile, ricercatori, imprenditori e diplomatici, intervistati tra il 2021 e il 2022. Le sfide di un eventuale dialogo con Al Shabaab sono enormi, ma, dal momento che l’alternativa rimane la violenza incessante che si perpetua con alti e bassi da 15 anni, vale la pena provarci.
Nel testo, il simbolo di Amisom e quello di Al Shabaab. L’infografica di copertina è tratta dal sito di Reliefweb. Aggiornata a ottobre 2022