Con una cerimonia che si rimandava da mesi il Sudan del Sud potrebbe aver messo la parola fine alla guerra. Il condizionale è d’obbligo ma alcuni segnali positivi ci sono. Primo tra tutti la formazione, il 22 febbraio, di un nuovo esecutivo della durata di 3 anni. Secondo gli accordi presi nell’ultimo trattato di pace dell’agosto del 2018 ma mai rispettato, il nuovo esecutivo sarebbe dovuto essere formato a maggio 2018, ma poi è stato rinviato a novembre e concretizzato solo con la cerimonia di pochi giorni fa. Forti pressioni alla formazione del governo sono arrivate da più parti della comunità internazionale, in particolare da Stati Uniti e dall’Onu, che avevano minacciato gravissime sanzioni in caso di un ulteriore rinvio.
Venerdì 21 febbraio è stato sciolto il vecchio governo. Il nuovo esecutivo sarà composto da 35 membri. Tre sono stati designati vice presidenti: tra questi Riek Machar, leader dell’opposizione e Rebecca Garang, la vedova di John Garang de Mabior, il capo della guerriglia durante la guerra di indipendenza e fondatore dell’Esercito di Liberazione del Popolo di Sudan (Spla) che morì in un incidente aereo da molti contestato nel 2005. Machar è stato capo ribelle durante la guerra civile che dal 2013 è costata la vita a oltre 400mila persone, ha provocato milioni di profughi e sfollati, prodotto violenze all’ordine del giorno e migliaia di stupri utilizzati come arma di guerra.
“Giuro di essere fedele alla Repubblica del Sud Sudan”, ha detto Riek Machar nella capitale Juba durante la cerimonia di investitura come primo vice-presidente, affermando poi che nessuno minerà più il percorso di democratizzazione del Paese.
A rinforzare le affermazioni è stato anche il presidente Salva Kiir che ha definito la pace come “un fatto irreversibile: “Dobbiamo perdonarci a vicenda e estendo questo appello alle popolazioni di etnia dinka e nuer”. Un ruolo importante nella mediazione per questo risultato l’ha avuto la comunità di Sant’Egidio che da mesi conduce il dialogo tra le parti. Restano comunque ancora molti nodi da sciogliere. Uno è sicuramente l’unificazione degli eserciti. Una questione che pare risolta ma che resta da monitorare nell’attuazione è il numero degli stati da cui il Sudan del Sud sarà composto e che sono passati da 32 a 10, come al momento dell’indipendenza, a cui sono state aggiunte tre aree amministrative, Pibor, Ruweng and Abyei. L’opposizione ha approvato tale decisione, ma ha chiesto maggiori chiarimenti sul futuro di Ruweng, territorio molto ricco di petrolio.
Il Paese resta in condizioni drammatiche dal punto di vista alimentare e umanitario. Un rapporto diffuso nei giorni scorsi dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite (Fao), dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) e dal World Food Programme (Wfp) 6,5 milioni di persone nel Paese, ovvero oltre la metà della popolazione, rischia di trovarsi nella totale insicurezza alimentare nel picco del periodo di carestia previsto tra maggio e luglio. La situazione è particolarmente preoccupante nelle aree più colpite dalle inondazioni del 2019, in cui la sicurezza alimentare è notevolmente peggiorata dallo scorso giugno. Da febbraio 2020 è stato infatti registrato un ulteriore incremento della fame dovuto all’esaurimento delle scorte alimentari e agli elevati prezzi dei prodotti degli alimenti di prima necessità. Si prevede che il problema peggiorerà progressivamente fino a luglio, principalmente nelle aree di Jonglei, nell’Alto Nilo, a Warrap e nel Northern Bar el-Ghazal. Il rapporto stima inoltre che 1,3 milioni di bambini soffriranno di malnutrizione acuta nel 2020. A questo si aggiungono gli ampi sciami di locuste del deserto, che da Kenya e Uganda si stanno dirigendo verso il Sudan del Sud mettendo in serio pericolo i raccolti già compromessi.
(Red/Est)
*In copertina una foto dell’accordo con Salva Kiir e Riek Machar tratta da Vatican News