Armenia: proteste contro il premier

Almeno 250 arresti per le manifestazioni che infiammano Yerevan dove si  chiedono le dimissioni del primo ministro Pashinian, accusato di debolezza con l’Azerbaigian sulla questione Nagorno-Karabakh

di Ambra Visentin

Barricate ed arresti a tappeto a Yerevan. Circa 20.000 persone, tra cui ci sarebbero anche parlamentari dell’opposizione, sono da giorni tornate ad occupare le strade della capitale. Nella giornata di ieri, 2 maggio 2022, ci sono stati circa 250 arresti per le proteste che infiammano la città. La popolazione vuole le dimissioni del primo ministro Pashinian (nell’immagine sotto), accusato di aver fatto troppe concessioni all’Azerbaigian sulla questione Nagorno-Karabakh (anche definita Repubblica dell’Artsakh), autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaigian nel 1992.  Il 13 aprile Pashinian ha dichiarato che la comunità internazionale offre all’Armenia di «abbassare la soglia dello status del Nagorno-Karabakh», senza spiegare il significato di quest’affermazione che è stata percepita da molti come un’allusione al fatto che l’Armenia dovrebbe accettare lo status autonomo del Karabakh all’interno dell’Azerbaigian.

La protesta in corso ha un precedente allarmante. Dopo la cosiddetta “guerra dei 44 giorni” nella regione del Nagorno-Karabakh ad autunno 2020, che causò più di 6500 vittime, a novembre dello stesso anno si era giunti al cessate il fuoco con la mediazione della Russia che inviò 2000 soldati come unici peace-keeper nella regione, per un periodo previsto di 5 anni. L’intesa scatenò una reazione immediata, portando una folla di manifestanti ad occupare il Parlamento. Con l’accordo, diversi territori fino ad allora sotto il controllo armeno passarono all’Azerbaigian. Questo ha innescato una profonda crisi politica in Armenia, dove nonostante il primo ministro Nikol Pashinian sia riuscito a riaffermarsi nelle elezioni a giugno 2021, l’insoddisfazione nei suoi confronti fra la popolazione ha continuato ad acutizzarsi. Inoltre, nonostante il cessate il fuoco gli scontri sulla linea di confine hanno continuato a ripetersi.

Il 24 e 25 marzo 2022 le forze armate azere si sono intrufolate nell’area di responsabilità delle forze di pace russe in Artsakh, prendendo sotto il loro controllo il villaggio di Parukh nella regione di Askeran e le posizioni adiacenti, nel tentativo di avanzare vicino al confine orientale di Artsakh. Questo ha causato una nuova ondata di sfollamenti ed una crisi idrica nei territori sotto controllo azero, dove la popolazione armena sta ora costruendo reti alternative.  Artak Beglaryan, segretario di Stato dell’Artsakh, in un’intervista con l’Agenzia RIA-FAN, ha dichiarato che la leadership militare e politica dell’Azerbaigian starebbe portando avanti «la retorica armeno-fobica e nazista e l’aggressione militare e psicologica contro la popolazione armena dell’Artsakh». Una situazione che si sarebbe aggravata da quando i soldati russi si trovano sul territorio.

«L’Azerbaigian mostra apertamente e sistematicamente la propria russofobia. L’aggressività, l’occupazione del villaggio di Parukh – un territorio sotto la responsabilità delle forze di pace russe – ne sono un chiaro esempio», prosegue Beglaryan, secondo il quale, tuttavia, anche di fronte a tali provocazioni, le garanzie militari e politiche della Federazione Russa starebbero certamente frenando i tentativi dell’Azerbaigian di disarmare l’Artsakh. Se le tensioni nel Caucaso meridionale dovessero intensificarsi di nuovo, questo potrebbe diventare una questione spinosa per la Russia, già militarmente impegnata sul fronte Ucraina. Il mese scorso, in occasione dell’incontro tra il primo ministro armeno Nikol Pashinian e il presidente dell’Azerbaigian Ilcham Aliyev a Bruxelles, Armenia e Azerbaigian hanno dichiarato di voler negoziare un trattato di pace mediato dall’UE. Le rivolte della popolazione a Yerevan rischiano ora di minare questo processo alla base e di portare potenzialmente ad una nuova escalation di violenza nel Paese.

In copertina: Yerevan, foto di Levon Vardanyan

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