di Adalberto Belfiore
Una squadra della Doep (Direzione operazioni speciali) della polizia nicaraguense la notte dello scorso 17 luglio ha fatto irruzione, senza mandato, nella casa del 23enne Bryan Murillo Lopez a León, la seconda città del paese, freddandolo a colpi di kalashnikov, ferendo gravemente anche il fratello e il cugino della vittima e “portandoseli via come animali” secondo la testimonianza dei familiari raccolta da Amnesty International. Il giovane era nel mirino della polizia per aver partecipato attivamente alle proteste che dall’aprile del 2018 che chiedevano le dimissioni del presidente Daniel Ortega, al potere da dodici anni, e il ritorno della democrazia nel Paese centro americano.
La direttrice di Amnesty per le Americhe, Erika Guevara Rosas, ha detto che “le informazioni analizzate dimostrerebbero che l’operazione di polizia si è svolta in modo illegale e con l’uso di armi da guerra” e che “le circostanze e il profilo delle vittime indicano che potrebbe trattarsi di un nuovo episodio di repressione letale contro la dissidenza”. Fatti di questo genere si sono moltiplicati negli ultimi mesi in Nicaragua dove Ortega e sua moglie (e vicepresidente) Rosario Murillo hanno ripreso il controllo del Paese con una repressione violentissima e selettiva. La Commissione interamericana per i diritti umani (Cenidh) nel suo comunicato mensile sul Nicaragua parla di “continue violazioni dei diritti umani da parte della polizia e di gruppi paramilitari, restrizioni alla libera circolazione in luoghi pubblici, detenzioni arbitrarie, intimidazioni e minacce contro ogni manifestazione di dissenso, estese ora anche alle celebrazioni religiose, in particolare quelle della Chiesa cattolica”.
José Silvio Báez, vescovo ausiliare di Managua, la capitale, che è stato richiamato in Vaticano da Papa Francesco a seguito delle notizie su un piano per assassinarlo, in un’intervista aveva definito il Nicaragua “un paese sequestrato da una famiglia e dai suoi accoliti i quali, mossi dalla sete di potere e dal desiderio di arricchirsi hanno distrutto il tessuto sociale, le istituzioni democratiche, il sistema giudiziario e l’economia del Paese costruendo un sistema dittatoriale con ambizioni dinastiche caratterizzato dalla menzogna, il cinismo, la corruzione, la repressione criminale e la violazione dei diritti umani”. Polizia e paramilitari danno la caccia agli attivisti dei movimenti di opposizione, accusati indiscriminatamente di golpismo e terrorismo, come nel caso di Enrique Guevara Tórres, tessitore di amache ventenne sequestrato a Masaya, nel centro del paese, o della studentessa universitaria MarÍa Ruiz Briceno, 22 anni, una delle partecipanti all’occupazione dell’Università UNAN di Managua nell’aprile dello scorso anno terminata con la morte di due studenti e il ferimento di molti altri nella chiesa della Divina Misericordia dove si erano rifugiati.
I giovani sono stati sequestrati il 13 luglio scorso, uno nella sua casa e l’altra mentre realizzava un picchetto davanti alla Cattedrale di Managua, e se ne ignora la sorte. La repressione selettiva sembra essere ancor più violenta nelle campagne. Il Centro studi per la governabilità e la democrazia (Cegodem), una ONG attiva nel nord del paese, ha denunciato la morte di tre contadini noti per aver guidato i blocchi stradali con cui gli oppositori di Ortega cercarono di proteggere le loro comunità dalle incursioni di polizia e paramilitari. La Ong ha denunciato la morte di Edgard Centeno, di suo figlio Yalmar e di Francisco Sobalvarro, contadini della regione di Jinotega, addirittura oltre la frontiera con l’Honduras dove si erano rifugiati, uccisi con armi da guerra e in circostanze oscure.
Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di Human Right Watch nel suo ultimo rapporto cita i casi di 12 ex prigionieri politici che riferiscono di “violenze sessuali, negazione del diritto alla difesa, prigioni clandestine, torture efferate, processi senza testimoni né avvocati”. E conclude affermando che “Ortega e Murillo sono due paria internazionali che hanno costruito in Nicaragua una tirannia”. In questo quadro il regime, dopo aver promulgato nel Parlamento, che controlla, un’amnistia finalizzata a proteggere i crimini commessi da polizia e paramilitari e respinta perfino dai 50 prigionieri politici che ne hanno beneficiato, si prepara a festeggiare il 19 di luglio il quarantennale di quel grande movimento di popolo capace di abbattere una dittatura che fu la Rivoluzione sandinista.
La coreografia ufficiale è quella degli scorsi anni, con il grande palco e i decori new age ideati dalla Murillo, la retorica rivoluzionaria e antimperialista, la lista delle delegazioni dai Paesi stranieri (spesso di nessuna rappresentatività: ne vengono annunciate più di 500 tra cui anche dall’Italia) la folla di impiegati pubblici costretti a partecipare pena la perdita del posto e molto peggio, la mobilitazione dei fanatici e di tutti quelli che avendo ricevuto qualche beneficio dal regime temono il ritorno della democrazia e della giustizia.
Nell’immagine di copertina, il mitico Sandino, simbolo di riscatto rivoluzionario