Erdogan il nuovo sultano. Le carte della Turchia nella crisi globale

L'accordo sul grano, i rapporti con Mosca e Kiev, i migranti verso la Ue, la Nato e la questione curda. Come si muove il Presidente della Turchia che dalla guerra ucraina in avanti è assurto a ruolo di gran mediatore

di Filippo Rossi

Istanbul -Sono ormai mesi che il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la Turchia stanno rivestendo un ruolo di fondamentale importanza e di spicco nella crisi internazionale scoppiata con l’inizio del conflitto ucraino lo scorso 24 febbraio, diventata  una minaccia per l’economia e la sicurezza globale ma soprattutto occidentale. Con la sua posizione bilanciata, Erdogan è riuscito a far diventare la Turchia un ponte imprescindibile per ogni contatto fra Russia e Occidente, provando più volte a trovare una soluzione pacifica al conflitto ucraino e riuscendo a sbloccare veri e propri ostacoli che sembravano insormontabili, come la crisi dell’esportazione di grano. Allo stesso tempo, ciò ha permesso alla Turchia di fare perno sui suoi interessi geopolitici ed economici, specialmente in materia di sicurezza nazionale e commercio internazionale.

Dopo vari contatti e incontri organizzati nei mesi precedenti, i quali hanno permesso a Russia e Ucraina di discutere e avvicinarsi, Erdogan è riuscito a riattivare il commercio di grano internazionale, proveniente principalmente dai due Paesi in conflitto e che si era completamente bloccato con l’inizio del conflitto, mettendo a rischio i rifornimenti mondiali. Con l’accordo firmato a Istanbul a fine luglio fra Ucraina, Russia, Turchia e Nazioni Unite, Ankara si è fatta da garante per le esportazioni da 4 porti ucraini e riuscendo fino ad ora ad esportare circa 700 mila tonnellate di grano che sono passati prima dal Centro di Coordinamento congiunto di Istanbul (gestito e coordinato da personale dei 3 Paesi e Onu) per poi attraversare il Bosforo a bordo di 29 navi. Altre 24 navi stanno invece aspettando di entrare nei porti sul mar Nero e trasportare le 25 milioni di tonnellate restanti.

“Tutti sono testimoni dei nostri sforzi in ambito diplomatico. Riuscire a mandare il grano ucraino in tutto il Mondo è stato cruciale. Ora lo stesso atteggiamento va replicato in altri ambiti” – ha dichiarato Erdogan lunedì scorso -“Il nostro obiettivo è far incontrare il Presidente russo Vladimir Putin e il Presidente ucraino Volodimir Zelensky”. Una sfida ambiziosa, non più improbabile, che farebbe di Erdogan un vero ponte per la pace. A sostenere il Presidente turco anche il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, il quale ha lodato il lavoro di Ankara e ha auspicato che questa collaborazione diventi “un lungo e complesso processo che porti al trionfo della pace”.

Dopo questo grande successo, che ha visto la Turchia e Istanbul innalzarsi a difensori di un bene fondamentale per il benestare della comunità internazionale, il Presidente turco ha poi incontrato personalmente, prima a Sochi il 5 agosto, Vladimir Putin e in seguito, a Leopoli il 18 agosto, Volodymir Zelensky. La speranza del Presidente turco è ora quella di riaprire il dialogo fra le due parti in conflitto per uno scambio prigionieri e per un possibile cessate il fuoco, argomenti sempre in discussione e che mai sono andati in porto sebbene i numerosi sforzi di Ankara. A Leopoli Erdogan, ricevuto calorosamente, ha criticato l’attacco russo definendolo “illegale e ingiustificabile”, facendo però risorgere la speranza di negoziati per raggiungere un cessate il fuoco, promettendo anche aiuti concreti all’Ucraina per la ricostruzione del Paese.

Durante la sua prima visita nel Paese dall’inizio del conflitto, è stato accompagnato anche da Haluk Bayraktar, il padrone dell’azienda Baykar, produttrice dei famosi droni TB-2, venduti e, in parte, anche regalati all’Ucraina dall’azienda turca. I TB-2 sono stati idolatrati nel Paese per i danni inflitti all’esercito russo. Una mossa che sorprende e lascia basiti, se si pensa alle relazioni amichevoli che Ankara intrattiene con entrambi i Paesi. Soprattutto proprio pochi giorni dopo l’incontro di Sochi, durante il quale Putin lo ha ospitato con tutti gli onori, ringraziandolo per i suoi sforzi nel risolvere la crisi sul grano, e da dove Erdogan è uscito strappando un interessante accordo commerciale volto a incrementare le relazioni commerciali fra i due Paesi nei settori energetici e di beni. La Turchia, rispetto all’anno precedente, ha difatti incrementato esponenzialmente le sue esportazioni verso la Russia con un aumento del valore di esportazioni del 46% (soprattutto materiali chimici, alimentari, tessili e prodotti elettrici), approfittando del vuoto lasciato dalle compagnie occidentali a causa delle sanzioni imposte. Le importazioni provenienti dalla Russia, soprattutto a livello energetico, rimangono invece sempre alte.

Quest’aumento nelle relazioni commerciali fra i due Paesi preoccupa però molto l’Occidente, specialmente l’Unione europea, che vede nella Turchia una minaccia, cominciando a parlare anche di conseguenze severe per Ankara caso in cui le relazioni economiche con Mosca dovessero espandersi ancora di più. Le missioni europee e della stessa UE si sono dette irritate da quello che sta avvenendo, anche se la Turchia ha deciso sin dall’inizio di non aderire alle sanzioni occidentali e ha sempre intrattenuto buoni rapporti con la Russia, motivo di grande frustrazione per l’occidente, sconfitto sul piano delle sanzioni.

Erdogan sa benissimo che il peso del suo Paese è ormai divenuto cruciale. Imporre sanzioni contro la Turchia, si ritorcerebbero verso l’Europa, seguendo la stessa rotta delle sanzioni inefficaci contro la Russia, che stanno colpendo il cuore dell’Europa. Difatti, con 4 milioni di rifugiati siriani nel Paese e le candidature di Svezia e Finlandia in pugno, la Turchia non è facilmente attaccabile da chi, in Europa, vuole fare la voce grossa e non è in misura di difendersi. La dichiarazione di una fonte anonima in seno all’Ue, citata in un articolo dal Financial Times, secondo la quale “è la Turchia, tutti ne hanno bisogno in un modo o nell’altro… non possiamo dirgli (a Erdogan) cosa deve o non deve fare”, pare essere abbastanza eloquente.

Erdogan, quindi, sembra poter fare quello che vuole e tenere in scacco più parti, anche sul piano puramente geopolitico. Non solo la crisi siriana al confine sud-orientale e quella nell’Egeo -con le crescenti tensioni con la Grecia- ma essendo il principale interlocutore nella crisi internazionale e membro dell’Alleanza atlantica, Erdogan si destreggia anche nel gruppo Nato come vero e proprio “game changer”. E uno dei tasti più dolenti per europei, americani e Nato, sono proprio le candidature di Svezia e Finlandia per aderire all’alleanza, messa in discussione dalla Turchia, che accusa i due Paesi scandinavi di difendere personalità ricercate da Ankara e appartenenti al movimento terrorista curdo PKK o al movimento gulenista FETö, accusato fra le altre cose, di essere la mente dietro al colpo di stato del 2016.

Ma se nell’accordo di intenzioni firmato a Madrid fra i tre Paesi a fine giugno, Svezia e Finlandia hanno espresso la volontà di sostenere la Turchia nella lotta al terrorismo interno e difendere i suoi confini, poco nulla è stato fatto. Sebbene l’impegno sia stato reiterato ancora venerdì durante il primo di una serie di tre meeting trilaterali previsti fra i 3 Paesi e tenutosi ad Helsinki, in realtà i due stati sembrano non voler realmente intraprendere passi per accontentare le richieste di Ankara di estradare cittadini considerati “terroristi” e protetti. La proposta svedese di estradare Okan Kale, accusato di frode di carte di credito, è stato preso quasi come una presa in giro ad Ankara che ha dichiarato che la frode finanziare non sono quello che cerca da questo accordo e che vuole passi concreti per parlare di sospetti terroristi. Nello specifico, la Turchia ha stilato una lista di 21 persone richieste alla Svezia e 12 alla Finlandia. Un grattacapo non da poco per Stoccolma e Helsinki che stentano a voler rilasciare dichiarazioni concilianti in questo senso, anche perché la loro credibilità verrebbe totalmente distrutta, dopo aver perso il loro statuto di neutralità richiedendo di aderire al blocco atlantico.

Sul Mediterraneo invece, le tensioni con la Grecia non fanno che peggiorare. Sono quotidiane le provocazioni di entrambi i Paesi che continuano a violare i propri spazi aerei con veicoli militari e droni. Inoltre, la Turchia ha accusato più volte le forze dell’orine greche di abusi contro i migranti rispediti sulle coste turche. Alcuni analisti, in Turchia, pensano che si potrebbe arrivare anche ad un conflitto. Uno scenario che pone a rischio l’immagine di Erdogan che deve anche far fronte alla crisi siriana. Sono ormai mesi che tutti si aspettano l’inizio di un nuovo conflitto nel nord-est della Siria, dove la Turchia richiede che sia instaurata a una zona cuscinetto di 30 chilometri al confine per ostacolare la minaccia rappresentata dallo YPG, il movimento curdo affiliato al PKK. Ankara ha mobilitato l’esercito, pronto all’intervento. Ma la luce verde definitiva non arriva anche perché i moniti internazionali per una nuova escalation come quella di ottobre 2019, sono arrivati da Stati Uniti ma anche da Putin. Senza dimenticare la situazione di Idlib, ultima roccaforte ancora sotto il controllo di ribelli estremisti sostenuti da Ankara, contrapposti soprattutto dalle truppe di Assad e a quelle russe. Una situazione delicata, dove, in questo caso, è la Turchia a dove far attenzione alle sue prossime mosse.

Erdogan si muove su un campo minato ma cosciente del suo potere e della sua influenza. Sebbene ciò sia la dimostrazione del fatto che sono pochi quelli in grado di dettare legge con lui al momento, dovrà comunque fare attenzione a non sbilanciarsi troppo, cercando allo stesso tempo di usare questi stratagemmi per aumentare la sua popolarità interna, in vista che delle elezioni presidenziali che si terranno fra meno di un anno.

In copertina Il “Cancello Imperiale” (Bâb-ı Hümâyûn) a Istabul. Nel testo,un ritratto di Maometto II il Conquistatore, uno dei maggiori sultani ottomani e  Erdogan. Postura da nuovo sultano

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