Iran: non vi sono soluzioni militari della controversia sul programma nucleare

“Un Iran attaccato non risulterebbe affatto maggiormente disposto a negoziare e sarebbe doppiamente determinato a costruire armi nucleari. Si creerebbe inoltre una nuova ampia zona di instabilità e di conflitto che si aggiungerebbe a quelle dell’Afghanistan e del Medio Oriente in genere, con il risultato di generare una vasta area di crisi dai confini dell’India fino al Nord Africa”.  Un documento dell’ USPID (Unione degli scienziati per il disarmo), che pubblichiamo di seguito,  spiega perché “per evitare un’altra guerra è importante sostenere una posizione che da un lato abbassi i toni della polemica, e dall’altro esamini le possibili soluzioni all’empasse diplomatica”.

 

Gli ultimi mesi del 2011 e l’inizio del 2012 sono stati caratterizzati da un crescente livello della polemica internazionale sul programma nucleare iraniano, e sempre più spesso si parla della possibilità di un intervento militare contro quelle installazioni nucleari da parte principalmente di Israele. È essenziale invece che i responsabili della diplomazia non si facciano intrappolare nel dilemma fra l’accettazione impotente di un Iran come nuova potenza nucleare, e l’eliminazione con un intervento militare di un programma nucleare dichiaratamente civile. Per evitare un’altra guerra è quindi importante sostenere una posizione che da un lato abbassi i toni della polemica, e dall’altro esamini le possibili soluzioni all’empasse diplomatica.

In base all’Articolo IV del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare1 (TNP), del quale esso è parte dal 1968, l’Iran ha il diritto – sotto il controllo dell’IAEA – di arricchire l’uranio e di produrre combustibile per il proprio programma nucleare civile, anche nel caso in cui questo sollevi delle preoccupazioni. D’altra parte Tehran ha ribadito più volte di non volere armi nucleari, sostenendo che il suo programma è limitato a scopi civili. Allo stesso tempo è evidente che il programma nucleare iraniano consente a Tehran di acquisire la capacità di sviluppare armi nucleari ed è altresì evidente che questa capacità o possibilità è stata ed è ben tenuta presente da Tehran. Infatti non si intravede un interesse economico o industriale iraniano all’arricchimento dell’uranio per scopi civili; anzi questa attività sottrae preziose risorse economiche, tecnologiche e scientifiche allo sviluppo del paese. L’ostilità dichiarata tra Israele e l’Iran certo non contribuisce a creare un clima in cui la questione del programma nucleare iraniano possa essere discusso in modo costruttivo. Le reiterate dichiarazioni anti-israeliane dei dirigenti di Tehran hanno provocato le minacce israeliane di attaccarne gli impianti nucleari, e ciò ha creato un clima obiettivamente teso che richiede un abbassamento dei toni della retorica da tutte le parti per consentire di affrontare in modo costruttivo la questione del programma nucleare iraniano. Molti fattori concorrono dunque a creare le condizioni per uno scontro violento che può avere conseguenze molto serie. Un attacco contro le installazioni nucleari iraniane si presenterebbe innanzitutto come un attacco contro un paese membro del TNP al quale verrebbero negati con la forza i diritti riconosciuti dall’Articolo IV del trattato; un attacco peraltro realizzato direttamente da, o con il concorso di un paese (Israele) che invece non è parte del trattato e che è universalmente considerato come l’unico paese del Medio Oriente in possesso di armi nucleari. Il TNP ne sarebbe inevitabilmente compromesso: l’Iran non avrebbe più alcun motivo per continuare ad aderire al TNP, e si può immaginare che anche altri paesi del Medio Oriente – o anche di altre regioni – potrebbero avere delle motivazioni serie per riconsiderare la loro adesione al trattato. Peraltro in queste condizioni l’Iran perseguirebbe con maggior determinazione l’acquisizione di armi nucleari, sia pure scontando il ritardo prodotto dai bombardamenti. I proponenti di un intervento militare, in realtà, sembrano avere come obiettivo proprio questo ritardo di un paio di anni sperando, nel frattempo, in un cambiamento di regime. Ma anche questo non è per niente un risultato ragionevole in presenza di un conflitto che molto probabilmente raccoglierebbe tutta la popolazione iraniana in un fronte unito contro gli aggressori.

Se i rischi derivanti da un intervento militare in Iran sarebbero enormi, i risultati rischiano insomma di essere del tutto inefficaci anche per chi si proponesse di bloccare il programma nucleare iraniano con la forza. Innanzitutto non è per niente detto che l’Iran ceda dopo i primi attacchi contro Arak o Natanz; né è evidente che questi attacchi si limiterebbero solo ai siti delle installazioni nucleari, sicché le conseguenze per la popolazione civile sarebbero difficilmente prevedibili.

Un Iran attaccato non risulterebbe affatto maggiormente disposto a negoziare e sarebbe doppiamente determinato a costruire armi nucleari. Si creerebbe inoltre una nuova ampia zona di instabilità e di conflitto che si aggiungerebbe a quelle dell’Afghanistan e del Medio Oriente in genere, con il risultato di generare una vasta area di crisi dai confini dell’India fino al Nord Africa. Infine non è da escludere che le operazioni militari coinvolgano anche lo stretto di Hormuz mettendo a rischio le forniture petrolifere e generando serie conseguenze sull’economia mondiale.

È quindi necessario promuovere soluzioni che prevengano lo scoppio di conflitti armati e restaurino un clima pacifico e costruttivo. Al momento in cui scriviamo l’ultimo incontro di Istanbul il 14 aprile 2012 si è svolto in un clima relativamente positivo e la ripresa delle trattative è stata programmata per il 23 maggio a Baghdad.

Il mantenimento della pace è dunque una necessità e nel contempo un obiettivo praticabile, e un possibile accordo, probabilmente step-by-step, sul programma nucleare iraniano potrebbe non essere troppo complesso. Questo potrebbe prevedere: a. Il rispetto del diritto dell’Iran di sviluppare il proprio programma nucleare civile, incluso l’arricchimento, come per qualunque altro membro del TNP: un arresto completo di tali attività è d’altra parte fuori discussione, mentre può essere presa in considerazione una limitazione della quantità di LEU (Low Enriched Uranium, fino al 4%) immagazzinabile, offrendo in cambio alcune procedure già discusse in passato di fuel-swapping (scambio di combustibile) e una riduzione delle sanzioni: in particolare quelle che limitano la disponibilità di pezzi di ricambio per aerei, il commercio di petrolio e le transazioni finanziarie  (comprese quelle indirette che colpiscono i paesi che intrattengono rapporti con l’Iran).

b. La disponibilità dell’Iran a ratificare e rendere operativo il Protocollo Addizionale al TNP e di estenderlo nel tempo – anche per un periodo limitato – in modo da permettere maggiori livelli di controllo da parte dell’IAEA. Se la chiusura degli impianti di Fordow (presso Qom) è chiaramente inaccettabile per l’Iran, un sistema di ispezioni rafforzate per questo e altri siti potrebbe essere un ragionevole punto da negoziare. In alternativa, e sempre in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, si potrebbe anche proporre la riduzione del numero delle centrifughe installate a Fordow, mentre una volontaria sospensione della loro installazione durante i negoziati sicuramente aiuterebbe la trattativa.

c. Un limite concordato in maniera consensuale per il livello di arricchimento che l’Iran può raggiungere: l’Iran potrebbe essere indotto a prendere in considerazione un arresto o una limitazione dell’arricchimento al 20% previsto a Fordow se fosse garantito il combustibile per il suo TRR (Tehran Research Reactor). È stato osservato che l’Iran dispone già di una quantità di uranio al 20% sufficiente al funzionamento del TRR per un certo tempo: in questo caso una proposta complementare potrebbe prevedere un arresto dell’arricchimento al 20% in cambio di una riduzione delle sanzioni.

d. Una estensione volontaria da parte dell’Iran dei diritti di ispezione dell’IAEA a siti come quello di Parchin (vedi Appendice A): a tale proposito va però ricordato che l’Iran non ha nessun obbligo di aprire agli ispettori IAEA siti come questo che non sono destinati ad attività nucleari. Naturalmente anche in questo caso questa estensione potrebbe essere alternativamente proposta e negoziata in cambio di un alleggerimento delle sanzioni.

e. Nel lungo periodo: eliminazione progressiva di tutte le sanzioni economiche contro l’Iran in un quadro in cui l’Iran applicherebbe il protocollo addizionale dell’IAEA e si instaurerebbe un regime di cooperazione internazionale sulla produzione di combustibile nucleare.

f. Un’incentivazione da parte di tutti gli attori del negoziato alla promozione di una zona libera da armi nucleari e da altre armi di distruzione di massa (Weapons of Mass Destruction Free Zone, WMDFZ) per tutti i paesi del Medio Oriente.

L’eliminazione step-by-step delle sanzioni giocherà un ruolo importante nel negoziato, e data la prevedibile difficoltà politica di mettere in pratica la riduzione o l’eliminazione di quelle decretate dagli USA a causa del ruolo del Congresso americano, potrebbe essere importante – e più facile – cominciare con il ritirare le sanzioni aggiuntive imposte dall’UE, o anche alcune di quelle decretate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. In questa prospettiva – che potrebbe dare anche un ruolo attivo alla diplomazia italiana – non può che essere considerato estremamente positivo il fatto che la recente ripresa dei negoziati a Istanbul sia stata messa in moto dalla lettera2 che C. Ashton ha inviato al negoziatore iraniano S. Jalili a nome non solo dell’UE ma anche di USA, Russia, Cina, UK, Francia e Germania.

Le linee di sviluppo di possibili accordi qui suggerite – nelle quali si potrebbe anche includere l’idea di stabilire in futuro dei centri internazionali per la produzione di combustibile nucleare – motiverebbero sicuramente l’Iran a restare nel TNP ed eliminerebbero qualunque incentivo a dotarsi segretamente di armi nucleari. Il suo interesse politico prioritario, infatti, è quello di svolgere un importante ruolo regionale. L’Iran invece non troverebbe appoggio nella regione se decidesse di sviluppare armi nucleari di nascosto pur restando all’interno del TNP.

L’importanza di una Zona Libera da Armi di Distruzione di Massa in Medio Oriente sta peraltro diventando sempre più evidente3, e come è noto il documento finale della Conferenza di revisione del TNP del 2010 contiene una clausola in favore della costituzione di tale WMDFZ. Una conferenza con questo scopo è già stata prevista per il 2012, anche se la sua realizzazione sarebbe ovviamente messa in discussione da un peggioramento del clima politico regionale. Si presenta insomma in questo momento ai protagonisti di questa controversia l’opportunità per un dibattito franco sulle scelte reali: preferiranno affidarsi nel lungo termine all’equilibrio di una specie di reciproca distruzione assicurata simile a quella della Guerra Fredda una volta che l’Iran o altri paesi – ancorché con qualche ritardo – si siano dotati di armi nucleari, o si convinceranno a percorrere la strada di un Medio Oriente libero da armi nucleari con la possibilità che l’Iran – e altri paesi arabi – non sviluppino mai la bomba? Noi ci auguriamo che questa seconda eventualità sia quella che si verificherà e riteniamo che ogni sforzo debba essere fatto per promuoverla.

Abbassare il livello della retorica aggressiva da ambo i lati è diventato una priorità, soprattutto in un mondo completamente interconnesso dai moderni mezzi di comunicazione. Oggi negli USA l’Iran è visto come un nemico globale anche da un pubblico disinformato che non sa quasi nulla su quel paese; in Iran d’altra parte le invettive contro il Grande Satana e contro Israele hanno un effetto del tutto analogo.

L’UE per parte sua spesso si limita a recepire acriticamente le ondate di retorica provenienti dall’altra sponda dell’Atlantico, mentre ovviamente episodi come l’attacco all’Ambasciata Britannica non possono che avvelenare il clima politico. Meriterebbero quindi maggiore considerazione tutte le proposte di mediazione che contribuiscano ad abbassare il livello della polemica da qualunque parte essa provenga. I rischi sono molto elevati e includono la possibilità di una guerra protratta e su vasta scala in Medio Oriente, un serio aggravamento dell’economia internazionale e un colpo forse letale per il TNP.

 

Appendice: I principali siti nucleari in Iran

Arak: Si tratta di uno dei due siti la cui esistenza è stata rivelata nel 2002. L’Iran vi sta costruendo un reattore di ricerca di 40 MWt (noto come IR-40) moderato da acqua pesante e la cui entrata in funzione è prevista per il 2014. Dovrebbe sostituire un analogo reattore di Tehran impiegato per la produzione di isotopi di uso medico.

Bushehr: Impianto nucleare la cui costruzione è iniziata nel 1975 in collaborazione con la Germania. La sua realizzazione – interrotta più volte dalla rivoluzione e dalla guerra – è ripresa nel 1995 in collaborazione con una ditta russa ed è stata completata nel marzo 2009. Si tratta di un reattore da 915 MWe che è stato connesso alla rete nazionale nel settembre 2010: una visita dell’IAEA nell’ottobre 2011 lo ha trovato in funzione. Il combustibile e l’assistenza tecnica sono per ora forniti dalla Russia.

Gachin: Miniera di uranio. L’estrazione è iniziata nel 2004 e nel dicembre 2010 è stato consegnato il primo minerale concentrato (yellowcake) destinato all’arricchimento. In precedenza l’Iran utilizzava il minerale importato dal Sud Africa negli anni ’70.

Isfahan: Impianto di trasformazione dello yellowcake in ossido di uranio e in metallo puro, oltre che in composto gassoso adatto all’arricchimento nelle centrifughe (esafluoruro di uranio, UF6)

Natanz: Impianto di arricchimento dell’uranio. Si tratta del secondo sito rivelato nel 2002, ed è un vasto impianto costruito 8 metri sotto terra e rinforzato da strati di cemento. Attualmente sono operative circa 9.000 centrifughe in 3 delle 8 unità previste nella Production Hall A che ne può contenere fino a 25.000. Non si conoscono invece dettagli sulla Production Hall B nella quale, comunque, non sono attualmente in corso lavori di installazione. Le attività di questo sito sono quelle a cui fa riferimento il CS dell’ONU nelle sue richieste di sospensione delle procedure di arricchimento. Un migliaio di centrifughe sono state danneggiate nel 2009 dall’attacco informatico del worm Stuxnet.

Parchin: Complesso militare non nucleare destinato al collaudo e alla produzione di esplosivi convenzionali, ma sospettato di ospitare esperimenti con esplosivi ad alto potenziale per la ricerca e lo sviluppo di armi nucleari.

Qom: L’impianto sotterraneo di Fordow costruito vicino alla città di Qom è destinato all’arricchimento dell’uranio. La sua esistenza – precedentemente non dichiarata – è stata rivelata il 25/09/2009. L’impianto può contenere fino a 3.000 centrifughe, circa 700 delle quali già operative nel gennaio 2012. Nel 2009 l’Iran aveva dichiarato che sarebbe stato prodotto uranio arricchito al 5%, ma in giugno 2011 ha manifestato l’intenzione di spingere l’arricchimento fino al 20% arrestando l’analoga produzione a Natanz.

I dettagli più aggiornati sulle attività dei siti qui elencati possono essere trovati sull’ultimo rapporto dell’IAEA del24/02/2012, http://iaea.org/Publications/Documents/Board/2012/gov2012-9.pdf

Questo documento è stato redatto, discusso e approvato dal Consiglio Scientifico e dal Comitato di
Coordinamento Nazionale dell’USPID.

 

 

 

 

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