Kalashnikov e social a Marsiglia

Una narco-faida nel cuore del Mediterraneo

di Antonio Michele Storto

La data spartiacque è lunedì 21 maggio del 2018. La scena si svolge nel quartiere della Busserine, teorema di casermoni fatiscenti alla periferia settentrionale di Marsiglia, nonché snodo centrale nello spaccio di stupefacenti: senza dubbio una delle zone più dure dell’intera Francia. È primo pomeriggio, quando due automobili arrivano sgommando in una strada residenziale del quartiere. Dalle vetture scendono gruppi di uomini armati di kalashnikov e a volto coperto: per diversi lunghissimi minuti sparano in aria, contro i passanti, contro i muri e le finestre dei palazzi circostanti.

“È una guerra” si sentono mormorare, allibiti, i residenti, nei video ripresi dai piani più alti degli stabili: saranno proprio quelle immagini, rimbalzate centinaia di volte sui social network, a sbattere in faccia al mondo il salto di qualità compiuto dalla criminalità marsigliese. “Di solito, nelle loro spedizioni punitive, queste bande arrivano, colpiscono chirurgicamente uno o più obiettivi per poi fuggire nell’arco di poche decine di secondi” dichiarerà il giorno stesso uno degli agenti intervenuti sulla scena, sottolineando come solo per caso l’incidente si fosse risolto senza vittime. “Ma stavolta sono rimasti incredibilmente a lungo: è chiaro che il loro intento era seminare terrore”.

Cinque anni più tardi, quelle parole suonano ormai sinistramente profetiche: soltanto dall’inizio dell’anno sono già una cinquantina (+66% rispetto all’intero 2022) le vite falcidiate dalla lotta per il controllo del narcotraffico a Marsiglia, dove – secondo i rapporti delle forze di sicurezza – un Kalashnikov sarebbe ormai reperibile per poche centinaia di euro al mercato nero. Proprio la prevalenza di questo tipo di armi è tra gli elementi che la scorsa estate – quando la questione è tornata prepotentemente sul tavolo del ministro degli Interni Darmanin – hanno indotto il prefetto Frédérique Camilleri a parlare apertamente di una “deriva messicana” nella guerra tra clan della metropoli mediterranea. A rendere quello marsigliese un caso pressoché unico in Europa sono in effetti le modalità degli omicidi, “caratterizzate – spiegava ad agosto la Procuratrice di Stato di Marsiglia Dominique Laurens – da estrema crudeltà e da una totale assenza di umanità”.

Come nell’emblematico caso della Busserine, gli agguati sono condotti perlopiù in zone affollate, non di rado in pieno giorno e con prassi smaccatamente terroristiche. Non sempre i bersagli sono singoli esponenti di gang rivali: nelle sparatorie si tende spesso a colpire nel mucchio, insanguinando intere piazze di spaccio sulle quali si vorrebbe estendere il controllo. Di solito i killer si muovono in coppia, su scooter o auto di grossa cilindrata: mentre l’autista resta al volante, il sicario designato spara diverse raffiche di mitra, senza curarsi troppo di eventuali vittime collaterali. Delle quali si inizia ormai a perdere il conto: come nel caso del 63enne ucciso lo scorso 24 aprile proprio in una tavola calda della Busserine, da una raffica di mitra che probabilmente puntava a colpire un pregiudicato 32enne, rimasto a sua volta ferito. O della 24enne uccisa lo scorso 15 settembre da un proiettile vagante, che l’ha raggiunta nel suo appartamento al terzo piano in una palazzina di Saint-Thys: a sparare, due giovanissimi a volto coperto, che hanno mirato a una piazza di spaccio da poco avviata, prima di esplodere diverse raffiche in aria, risultate fatali alla giovane.

Secondo i rapporti di polizia, l’80 per cento di questi omicidi sarebbe ascrivibile alla violenta faida in corso tra due clan rivali denominati rispettivamente DZ Mafia e Yoda, entrambi afferenti alla criminalità franco-maghrebina che ha ormai soppiantato la vecchia mafia corsa nel controllo degli stupefacenti, contendendosene il traffico in un intricato mosaico di rivalità e alleanze con bande emergenti di origine albanese, cecena e subsahariana, oltre che con i vecchi clan corsi.

“Siamo di fronte a un cambio di paradigma” dichiarava ad agosto il prefetto Camilleri, sottolineando come gli omicidi non siano più strumentali al solo controllo del narcotraffico, ma vadano ormai iscritti in un’infinita spirale di vendette, condotte sempre più spesso dai cosiddetti charcleurs, killer prezzolati e spesso giovanissimi “che arrivano in città inseguendo guadagni facili e un’epica criminale alimentata attraverso i social network – spiegava negli stessi giorni la procuratrice Laurens – per poi ritrovarsi incastrati in situazioni infernali”.

È il caso di Matteo F., 18enne corso che ad aprile è stato arrestato per l’omicidio di due adolescenti di 15 e 16 anni, identificati nei verbali di polizia con i nomi di Djibril e Kais: agli inquirenti, il ragazzo ha confessato di aver accumulato più di 200mila euro in pochi mesi compiendo omicidi su commissione. Omicidi che – sempre più spesso, per massimizzare il livello di terrore e intimidazione – vengono filmati e rilanciati su Snapchat, come lo stesso Camilleri ha raccontato ai giornalisti. La maggior parte di questi ragazzi verrebbe inizialmente reclutata con incarichi di basso rango, attraverso inserzioni pubblicate direttamente su canali telegram: “Cerchiamo una vedetta” recitava uno di questi annunci, scovato lo scorso aprile da France Presse. “Requisiti: giovane, fisionomista, richiesta padronanza delle due ruote, rispettoso verso la clientela. Orario di lavoro dalle 10.00 alle 22.00 (orari di vendita flessibili). Paga 100 euro/giorno”.

A tutto ciò, il governo Macron ha reagito dispiegando a più riprese la CRS-8, unità d’élite della polizia francese specializzata nel contrasto della violenza urbana: alla scorsa settimana risale l’ultima retata, con il fermo di 24 persone sospettate di appartenere ai ranghi della DZ Mafia. Ma sono in molti a ritenere votato al fallimento questo perenne assetto emergenziale. “Fin quando i narcotrafficanti potranno permettersi di pagare fino a 50mila euro per un omicidio, troveranno sempre qualche giovane disperato disposto a correre il rischio di finire in carcere per una ventina d’anni” spiega Amine Kessaci, fondatore di Conscience, probabilmente la più attiva tra le associazioni impegnate a contrastare crimine e degrado nelle periferie settentrionali di Marsiglia. “Cercare di arrestarli uno ad uno è come pensare di svuotare il mare con un cucchiaino. È nelle finanze che queste organizzazioni vanno colpite”.

La sua associazione Kessaci l’ha fondata appena 17enne, in seguito al brutale omicidio del fratello Brahim, trovato carbonizzato nel bagagliaio di un’automobile il 29 dicembre del 2020: i quotidiani locali riportarono l’episodio con un linguaggio che in molti ritennero disumano, parlando di “un nuovo barbecue nella narco-faida locale”. Oggi, a tre anni esatti da quei giorni, Amine gestisce una rete assistenziale che fornisce supporto finanziario, legale e psico-sociale a centinaia di famiglie sparse tra Marsiglia e una decina d’altre sedi in tutto il paese. Riuscire a intercettarlo anche solo per pochi minuti – nel quotidiano, incessante carosello d’incontri pubblici, riunioni di staff e lavoro in prima linea – è impresa ardua: lo scorso gennaio, ad appena 19 anni, il ragazzo è stato votato come “giovane più impegnato di Francia”, mentre nel prossimi giorni presenterà la sua candidatura alle Europee con i Verdi.

Se un qualche merito la faida marsigliese lo ha avuto, in effetti, è d’aver fatto emergere una vibrante società civile proprio dagli angoli dimenticati della città: è stata la campagna lanciata nel 2019 da un gruppo di madri a convincere il governo Macron ad adottare una legge antimafia che, sul modello di quella italiana, ridestinasse i proventi sequestrati al narcotraffico verso progetti di promozione sociale. “Ma anche da questo punto di vista ne abbiamo di strada da fare” puntualizza Kessaci. “Perché questo tipo di approccio richiede una vigilanza strettissima e continua, in assenza della quale i narcos, una volta usciti di prigione, sono liberi di condurre liberamente le loro rappresaglie, come accaduto di recente ai danni di un’associazione alla quale era stato assegnato un appartamento sequestrato nella zona de La Ciotat”.

Anche in questo senso, in effetti, Marsiglia appare oggi un caso a sé rispetto al resto del Paese: se nelle banlieue francesi i residenti protestano spesso contro gli abusi polizieschi, nella metropoli mediterranea si chiede ormai a gran voce il ritorno della polizia. “Per troppi anni i nostri quartieri sono stati dimenticati dal governo” conclude Kessaci, che nel 2021 rivolse la medesima accusa a Emmanuel Macron. “E oggi a Parigi si ritiene di risolverne i problemi delegandone la gestione a politici che non sanno nulla delle nostre comunità, dei nostri bisogni. Il mandato di unità come la CRS-8 è ristabilire l’ordine, di emergenza in emergenza: ma qui siamo di fronte a un problema sociale, non di ordine pubblico. Noi abbiamo bisogno di una presenza dello stato che sia permanente, e che sia soprattutto umana, gestita da funzionari radicati nelle nostre comunità, che ne conoscano le dinamiche e ne abbiano a cuore il destino. Solo così potremo uscire da questo incubo”

In copertina il Porto Vecchio. Foto di Adrian Pingstone

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