di Emanuele Giordana
Dopo che il 9 febbraio la Nuova Zelanda ha sospeso le relazioni diplomatiche con il Myanmar, ieri presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che gli Stati Uniti imporranno sanzioni ai militari birmani del Myanmar in un discorso televisivo dalla Casa Bianca in cui ha condannato il colpo di stato e la detenzione di Aung San Suu Kyi. “Il governo degli Stati Uniti sta adottando misure per impedire che i generali abbiano accesso improprio ai fondi del governo birmano da 1 miliardo di dollari detenuti negli Stati Uniti”, ha detto Biden annunciando nuove sanzioni dirette contro i leader militari e loro interessi commerciali. Intanto il Paese torna a vedere mobilitazioni di piazza per il sesto giorno consecutivo: da Yangon riceviamo notizie di nuovi assembramenti persino nella cosiddetta Golden Valley, la zona delle ambasciate e dell’élite.
Ieri intanto, mentre la piazza entrava nel quinto giorno consecutivo di protesta, un parlamento autoproclamato – basato sul voto di novembre e ovviamente clandestino – ha rinominato Daw Aung San Suu Kyi per un secondo mandato come Consigliere di Stato, sfidando la giunta che ha preso il potere il 1 febbraio. Nel contempo, secondo la stampa locale, si starebbe formando un team negoziale dell’opposizione al golpe, segnale interessante anche se non si sa se abbia già una controparte. La gente ieri è tornata in piazza con la prima martire, una giovane di vent’anni di cui avevamo purtroppo anticipato ieri il decesso, confermatoci martedi da fonti locali: Myat Thet Thet Khaing, che oggi avrebbe compiuto 21 anni, è stata colpita da un proiettile alla testa come ha confermato ieri al magazine birmano Irrawaddy un medico di Naypyitaw che ha chiesto l’anonimato: confermandone la morte cerebrale, ha spiegato che il proiettile ha perforato il casco che indossava e si è conficcato nella testa da cui non poteva essere rimosso. I militari hanno tentato il suo trasferimento nelle loro strutture ma i medici l’hanno impedito. Aveva votato per la prima volta: Lega sicuramente, visto che portava una camicia rossa, colore della Lnd.
Il silenzio attorno alla notizia è durato un giorno forse per un comprensibile riserbo per via che la “morte cerebrale” non è ancora la morte di ogni cellula vitale. Ma quella giovane donna, “viva” finché attaccata a una macchina e con “la cessazione irreversibile di tutte le attività del cervello”, è a tutti gli effetti la prima vittima di un regime brutale che non ha esitato a sparare ad altezza d’uomo. La sua immagine sanguinante, virale sui social tra le braccia di chi le prestava il primo soccorso, era ieri già un manifesto esibito nelle manifestazioni che hanno interessato, più ancora che Yangon, soprattutto Naypyidaw e Mandalay. Con lei altri erano stati colpiti, di cui uno al petto in gravi condizioni.
Mentre aumenta l’attività delle squadracce legate al partito dei militari, continuano le defezioni di poliziotti e si estende la disobbedienza civile che ha già paralizzato anche il settore bancario. Tutta la schiera di funzionari della burocrazia pubblica è in fermento: il Consiglio (la giunta) minaccia o blandisce con bonus e aumenti salariali. Sale infine il timore della nuova legge sulla sicurezza informatica che consenta loro di imporre chiusure – ora arbitrarie – su Rete e social. Vorrebbero un mega firewall in stile cinese per mettere a tacere anche chi usa la Vpn (Virtual Private Network che consente reti private virtuali). Dovrebbero lavorarci proprio tecnici della Rpc che sarebbero arrivati in questi giorni in Myanmar per crearlo. La legge creerebbe anche uno speciale Comitato che sarebbe presieduto dal vicecapo del Consiglio amministrativo, come la giunta al potere si fa chiamare.
In copertina foto di Svetva Portecali
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