Myanmar, il sabato della vergogna

Oltre cento morti nell'ennesima giornata di protesta di un movimento che non si lascia imbrigliare e che viene candidato al Nobel per la pace

di Emanuele Giordana

Oltre 80 secondo il bilancio di Myanmar Now e 90 secondo l’Assistance Association for Political Prisoner ma ben oltre 110 morti secondo la Reuters, numeri che fanno salire il totale delle vittime in Myanmar dall’inizio delle proteste a oltre 420 morti con più di 3mila arresti. Cifre che hanno segnato un sabato di sangue, un’ennesima “giornata della vergogna. Purtroppo era previsto. Alla vigilia della giornata delle Forze armate di ieri, la TV di Stato del Myanmar aveva avvertito venerdi che a scendere per strada “si può essere in pericolo di essere colpiti alla testa e alla schiena”. Così è stato.

Il bilancio dei morti del sabato di sangue in varie aree del Paese, dove il Movimento di disobbedienza civile ha sfidato il divieto, non ha fatto che salire dalla mattina di una giornata nella quale la giunta al potere dal 1 febbraio ha fatto sfilare nella capitale Naypyidaw oltre 7000 soldati, mentre caccia a reazione ed elicotteri dell’aeronautica accompagnavano la macabra sfilata col senso anche di una dimostrazione di forza. Mentre i soldati sfilavano decine di persone, tra cui persino un bimbo di 5 e una giovinetta di 13 anni, morivano in diverse zone del Paese. Continuano intanto a giungere dalla periferia notizie di scontri tra le milizie armate delle autonomie regionali e con loro le prese si posizione delle autorità Karen, Kachin e Shan, le più importanti realtà (armate) del Myanmar che rinnegano il golpe, la Costituzione del 2008 (voluta dai militari) e chiedono il ripristino del parlamento democraticamente eletto l’8 novembre scorso e una riedizione della Carta come base per un nuovo Stato federale.

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Quanto alla parata di ieri, il paradosso è che il 76mo anniversario delle forze armate birmane corrisponde al giorno in cui il Paese iniziò la resistenza armata contro l’occupazione giapponese nel 1945. Una resistenza guidata da Aung San, eroe nazionale e padre di Aung San Suu Kyi, la Lady ora nuovamente agli arresti domiciliari. Alla sfilata di solito partecipano funzionari di diverse nazioni ma, testimoniano le agenzie internazionali, il vice ministro della Difesa russo Alexander Fomin sarebbe stato l’unico straniero di rango presente, cosa che gli è valso l’apprezzamento del generalissimo Min Aung Hlaing a capo della giunta: “La Russia è una vera amica” (anche se la Tass ieri ha preferito dare la notizia delle vittime citando il sito di opposizione Myanmar Now). Non è secondaria infine l’assenza dei cinesi e così per i Paesi Asean, l’associazione regionale del Sudest asiatico che sarebbe impegnata in un’operazione di mediazione sotto traccia di cui per ora non emergono particolari. Quanto ai cinesi, l’agenzia Xinhua si è limitata a una serie di foto della parata mentre il Globaltimes si è accontentato di una fotonotizia di poche righe.

Un Nobel per la pace alla protesta

Intanto, mentre venerdì è stato reso noto che il movimento di disobbedienza civile nato in Myanmar dopo il golpe è stato nominato per il Premio Nobel per la Pace 2022, sul fronte delle sanzioni, mentre insistono le voci di un nuovo inasprimento da parte dell’Unione europea, l’Office of Foreign Assets Control (Ofac) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti – che hanno definito “orribile” quanto avvenuto ieri – ha messo giovedi sul libro nero i due conglomerati in mano ai militari, Myanma Economic Holdings Public Company Limited (Mehl) e Myanmar Economic Corporation Limited (Mec), due colossi dell’economia birmana. Lo stesso ha fatto Londra colpendo però solo Mehl. Infine diversi ministri della Difesa hanno firmato una dichiarazione congiunta che condanna l’uso smisurato della forza delle forze armate birmane. Documento firmato da Australia, Canada, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti. 

In Italia intanto sono già due le interrogazioni parlamentari con le quali alla Camera (Palazzotto e Quartapelle) chiedono chiarimenti sulle cartucce italiane Cheddite che si continuano ritrovare nei luoghi degli scontri mortali in Myanmar. Finora senza risposta.

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In copertina uno dei collage scelti da Aapp nel suo consueto rapporto giornaliero sulla repressione in Myanmar

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