di Raffaele Crocco
Il giorno di guerra, di questa fase della guerra, è il 289. Sono passati quasi dieci mesi dall’invasione russa dell’Ucraina e la guerra continua ad uccidere. Difficile immaginare l’avvio di negoziati, soprattutto dopo l’attacco ucraino alle due basi militari di Ryazan ed Engels, a meno di 300 chilometri da Mosca e poi all’impianto petrolifero nei dintorni di Kursk. Droni modificati, questo ha usato Kiev per attaccare per la prima volta ufficialmente i russi in casa loro. Sono vecchi velivoli TU-141. I tecnici ucraini li avrebbero resi capaci di colpire bersagli.
La scelta di “provocare Mosca” è stata un vero uragano sulla guerra. Sul piano militare, Mosca ha scatenato il più poderoso attacco missilistico e aereo dall’inizio della cosiddetta “operazione militare” del 24 febbraio. Sono state colpite infrastrutture, di nuovo centrali elettriche, abitazioni. Il numero dei morti è impossibile da stabilire, mentre la popolazione ucraina – già stremata dall’assenza di luce e riscaldamento in larga parte del Paese – è stata ancora una volta messa sotto pressione. Evidente, in questa reazione, la rabbia di Putin, che sa come l’attacco deciso da Kiev sia stato ininfluente dal punto di vista militare, pesantissimo invece nell’ottica della sua immagine interna e internazionale. La fragilità del sistema difensivo aereo russo è riemersa nell’incapacità di intercettare l’attacco. In teoria, da ora in poi ogni russo sa di poter essere colpito, in qualsiasi momento. Questo complica la vita a Putin nel trovare sostegno alla guerra.
Non a caso, il numero uno del Cremlino ha mosso le proprie carte anche sul piano diplomatico, approfittando di un assist arrivato da Washington. L’amministrazione Biden non ha gradito la decisione di Zelensky di attaccare Putin a casa propria. John Kirby, portavoce della Sicurezza Nazionale Usa, riferendosi agli attacchi ucraini ha ribadito che gli Stati Uniti non hanno “incoraggiato Kiev a farli, né abbiamo permesso all’Ucraina di colpire la Russia. Il nostro obiettivo è che il Paese abbia le risorse necessarie per difendersi. Tutto ciò che stiamo fornendo è stato progettato per questo”. La dichiarazione rafforza la voce girata nelle scorse settimane, cioè che gli Usa avrebbero fornito a Kiev missili “depotenziati”, per rendere impossibile un attacco alla Russia.
Putin ha così potuto alzare la voce, indicando in Zelensky il responsabile primo delle sin qui mancate trattative. Il capo del Cremlino ha sottolineato che la Russia “non è impazzita, noi non parliamo di usare armi nucleari. Però – ha aggiunto – la Russia si difenderà con tutti i mezzi. Prima ci concentreremo sugli strumenti pacifici, ma se continueremo a non ottenere risposta, ci difenderemo con tutto quello che abbiamo a disposizione”. E se Kiev continua a rifiutarsi di sedere al tavolo delle trattative, ha concluso Putin, “l’operazione militare speciale in Ucraina potrebbe rivelarsi un processo lungo”. Una posizione che sposa drammaticamente le parole di Mykailo Podolyak, capo dell’ufficio Presidenziale di Zelensky. “la Russia deve ritirarsi – ha detto – e le élite della Federazione Russa devo trasformarsi. Solo allora inizieremo i negoziati”.
In queste condizioni, inevitabilmente la guerra continua, seminando distruzione e mettendo sempre più in pericolo la popolazione civile. Sul piano diplomatico, sembra muoversi molto poco. Si muove il fronte internazionale, quello sì, soprattutto fra i sostenitori dell’Ucraina. Martedì 13 dicembre 2022, a Parigi si aprirà una “conferenza di pace” organizzata dal Presidente Usa, Biden e da quello francese, Macron per porre fine alla guerra. La partenza è quantomeno ambigua, se è vero – come è vero – che la vicesegretaria di Stato americana, Wendy Sherman, parlando con i giornalisti ha raccontato di Parigi come di un incontro “soprattutto di coordinamento, per assicurarsi che sia chiaro ciò di cui Kiev ha bisogno e di conseguenza capire cosa ciascun Paese può fare”.