Sanzioni alla Russia: un’arma (quasi) spuntata

I rincari del gas hanno addirittura aumentato le entrate di Mosca. E la non adesione di molti offre mille vie di fuga. Uno studio dell'Ispi

Al momento, malgrado il clamore che suscitano, le sanzioni imposte alla Russia da una parte delle nazioni del campo occidentale sarebbero “un’arma spuntata”. Lo argomenta, dati alla mano, l’Ispi, l’Istituto italiano di studi di politica internazionale. Nel terzo numero del suo DataLab si rileva che  gli sforzi congiunti di UE, Usa e UK potranno al più comportare un taglio del 7% delle esportazioni russe pre-invasione. E questo senza considerare [che]  una parte delle esportazioni russe precedentemente dirette in Occidente viene reindirizzata verso altri Paesi”. Il fatto è che oltre la metà dell’export russo è costituita da prodotti energetici, e l’Unione europea sinora vieta le sole esportazioni di carbone.  Inoltre, l’efficacia delle sanzioni dipende dal fatto che siano non solo forti, ma anche imposte all’unisono da gran parte delle nazioni del mondo, in modo da ridurre la possibilità di scappatoie..Dopo 7 settimane di guerra, invece,  solo un quinto degli Stati del Pianeta ha aderito alle sanzioni, anche se si tratta del 59 percento del Pil mondiale. Ma con tutti gli altri, fra cui giganti come la Cina e l’India, alla Russia resta aperta  la possibilità di espandere le proprie relazioni commerciali, e anche politiche.

Un modo di rendere più efficaci le misure  sarebbero le cosiddette sanzioni secondarie (cioè quelle sanzioni che colpirebbero proprio i Paesi che, non sanzionando la Russia, decidessero di fare affari con essa nei settori “proibiti”), Misura molto difficile da mettere in atto, e -osserviamo noi- che rischierebbe di rinsaldare ancor più l’inedita alleanza che si é creata fra Russia, Cina, e India. Nello scenario attuale il greggio, che fino all’anno scorso era per circa la metà acquistato dall’Occidente: il 49 percento dai Paesi dell’ Unione Europea, e il  3 percento dagli  Stati Uniti, viene oggi almeno parzialmente dirottato verso India e Cina. E i rincari dei prodotti energetici derivati dalla riduzione da parte russa del 20-25 percento delle forniture di gas naturale all’UE hanno quintuplicato il prezzo rispetto al periodo pre-crisi.

Così le entrate della Russia pederivate dal gas sono addirittura aumentate rispetto a un anno fa.  Nel marzo del 2021 esse erano inferiori ai 10 miliardi di euro,mentre il mese scorso avevano superato i 15 miliardi. Quanto al blocco delle esportazioni verso la Russia di prodotti ad alta tecnologia e di prodotti di lusso, secondo lo studio dell’Ispi esso  colpisce al massimo il 12 percento  del totale delle importazioni russe. Con tutto ciò, le sanzioni avranno un effetto significativo sull’economia e sulla società russa,  di cui si prevede un calo del 9 percento  nel PIL di quest’anno, che si tradurrà  nell’aumento della disoccupazione e dell’incertezza.

Quasi 500 imprese straniere  si sono ritirate, o hanno annunciato  il proprio ritiro dalle proprie operazioni in Russia. Circa due terzi delle 773 imprese censite a oggi dalla Yale School of Management. Ma le imprese cinesi hanno deciso in tre casi su quattro di rimanere in Russia, probabilmente anche per approfittare del vuoto lasciato   dalle imprese occidentali (come nel caso del ritiro di Apple a cui fa riscontro la permanenza di Huawei). Tra le imprese che hanno deciso di mantenere l’attività in  Russia, spiccano quelle  della Francia (68 percento) e dell’Italia (64 percento ), con percentuali simili a quelle cinesi, e nettamente più elevate rispetto a quelle tedesche, che per più della metà hanno abbandonato la Russia.

L’ultimo blocco di sanzioni riguarda il settore finanziario.   Secondo i dati pubblicati proprio dalla Banca centrale russa (Bcr), dall’inizio dell’invasione in Ucraina le riserve si sarebbero ridotte di 39 miliardi di dollari, cifra impressionante, ma che rappresenta solo il 6 percento del totale. Lunedì 5 aprile, il Tesoro americano ha deciso di vietare i pagamenti di debito sovrano con i dollari presenti nelle banche Usa. E spingendo dunque la Russia verso l’inizio di quel “default tecnico” -una bancarotta- che aveva evitato per un mese e mezzo, prima che la misura entrasse in vigore.

nell’immagine, un impianto della Gazprom

(Red/Ma/Sa)

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