Seicento giorni di guerra in Ucraina. Il punto

Dopo 583 albe del conflitto in Europa qualcosa forse si sta muovendo

di Raffaele Crocco

Corre verso il giorno 600 questa guerra fra Ucraina e Russia. Sono passati esattamente 583 giorni da quando Mosca ha tentato la conquista di Kiev, arenandosi contro il muro della resistenza degli ucraini. La guerra va avanti, tenendo lontano ogni possibile negoziato. Mosca ne approfitta per continuare il valzer macabro della minaccia nucleare. Vladimir Putin informa il Mondo che “i lavoratori del settore nucleare russo stanno introducendo tecnologie all’avanguardia nei settori dell’energia e dello spazio, nella medicina nucleare, nell’ecologia, nella modernizzazione della flotta delle navi rompighiaccio e alla creazione di armi avanzate capaci di mantenere l’equilibrio strategico nel mondo”. Il capo del Cremlino lo ha scritto congratulandosi con i lavoratori di Rosatom, l’agenzia nucleare statale russa. L’occasione formale era la giornata dedicata a loro, ma è evidente che a Putin interessava parlare al “nemico”: Stati Uniti ed Europa  

Sul campo, l’esercito ucraino resiste all’avanzata russa a Avdiyivka, Maryinka, Shakhtarske e Zaporizhzhia. Secondo lo stato maggiore di Kiev, in direzione Avdiyivka i soldati ucraini hanno respinto un attacco nemico. I russi hanno cercato di riconquistare la posizione persa nella zona di Robotyne, ma hanno fallito. In direzione di Melitopol, l’esercito ucraino continua, invece, l’offensiva. Gli scontri sono furiosi, senza sosta. Tra mercoledì 27 settembre e giovedì 28, i russi hanno lanciato due attacchi missilistici e 57 attacchi aerei. Hanno anche sparato più di 50 razzi sulle truppe ucraine e sulle infrastrutture civili. Gli attacchi hanno ucciso anche molti civili, danneggiando alcuni condomini e un ospedale.

Oltre a resistere, gli ucraini proseguono la loro lenta offensiva. Sul terreno si contano alcuni risultati, non tali, però, da costringere Mosca al negoziato. Lo ammette indirettamente Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato “Non vediamo – dichiara – segni di cambiamenti negli scopi di Putin. Quindi il modo migliore per una pace durevole è rafforzare il nostro sostegno all’Ucraina”. Parole che fotografano la realtà e che condannano, ancora, i civili, quelli cioè che questa guerra la stanno subendo. In settimana, ad esempio, Kherson e la regione hanno vissuto notti difficili. Un uomo di 41 anni è stato ucciso durante un attacco russo. Tra il 27 e il 28 settembre, la Russia ha lanciato un “massiccio” attacco di droni e 39 aerei sono stati impiegati per bombardare il Paese. I veicoli aerei senza pilota sono stati intercettati sulle regioni costiere del Mar Nero e nell’entroterra.

Guerra, quindi, ma qualcosa potrebbe muoversi. Hanno colpito gli osservatori le parole del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. La dichiarazione è stata rilasciata alla Tass, l’agenzia russa. “Mosca – ha detto – è pronta a negoziare sull’Ucraina, ma tenendo conto delle realtà sul terreno e degli interessi della sicurezza russa”. Non ci sono novità sostanziali nelle parole del ministro, ma resta l’impressione di una “apertura” all’ipotesi di negoziato, sin qui sempre negata. Un filo tenue, questo. Intanto, a Kiev si è insediato il nuovo ministro della Difesa. E’ Rustem Umerov e prende il posto di Oleksiy Reznikov. Appartenente al gruppo dei tatari di Crimea ed ex deputato del parlamento ucraino, Umerov è stato il negoziatore dell’accordo sul grano con Russia e Turchia.

E proprio il grano sta creando nuovi problemi “diplomatici” a Kiev. Anche gli agricoltori croati, infatti, dopo quelli polacchi e slovacchi, iniziano a protestare per il mercato locale invaso dal grano ucraino. Un fatto, dicono, che sta pesantemente condizionando il prezzo di vendita dei loro prodotti. La stampa di Zagabria cita coltivatori della Slavonia, che denunciano la comparsa, sui loro mercati, di grandi quantità di grano e di farina ucraine. In pratica, cosa succede? Dopo che la Russia si è ritirata unilateralmente dall’accordo sull’esportazione del grano ucraino e dopo i bombardamenti delle infrastrutture portuali sul Mar Nero, ad agosto il governo croato ha aperto i porti adriatici e quelli sul Danubio al transito del grano ucraino verso Paesi terzi. Parte dei carichi di grano, però, finirebbe sul mercato interno, croato.

Il Primo ministro Andrej Plenkovi nega che il grano destinato a Paesi terzi finisca sul mercato nazionale. Dello stesso parere è il ministero dell’Agricoltura di Zagabria , che conferma come la Croazia continui a importare grano ucraino, ma in quantità stabili. Una risposta che non convince gli agricoltori, decisi a continuare la protesta.

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