Sudan: un nuovo capitolo di violenza

In tutto il mondo, i Paesi hanno cerchiato il 15 aprile in rosso sul calendario per commemorare un anno dall'inizio di quella che è in realtà una nuova fase di una guerra senza tempo

di Ambra Visentin

A un anno dall’inizio dell’ultima guerra civile in Sudan, una conferenza umanitaria internazionale tenutasi a Parigi ha recentemente promesso più di due miliardi di euro in aiuti per il Paese dell’Africa nord-orientale. Si tratta di un nuovo capitolo in una storia attraversata da decenni di guerra civile. Ad aver ottenuto la maggiore esposizione mediatica, a causa del disastro umanitario che lo ha accompagnato, è stato il conflitto armato in Darfur, iniziato nel 2003. La caduta della trentennale dittatura di Omar al-Bashir, nel 2019, ha portato all’accordo quadro di transizione volto a stabilire un regime democratico. Tuttavia, la lotta per la leadership tra il capo dell’esercito e il suo vice e la gestione militare del Paese ha finora reso impossibile il raggiungimento di questo obiettivo, a lungo agognato dalla popolazione civile.

L’ultima escalation

Alla fine del 2018 una rivoluzione popolare ha posto fine ai 30 anni di governo di Omar al-Bashir, che guidava il Paese dal 1989. Un anno più tardi, nonostante le pressioni civili per un cambio di regime e le massicce proteste, al-Bashir è stato deposto con un colpo di Stato organizzato da un’alleanza tra il capo dell’esercito regolare, Abdel-Fattah Al-Burhan (Saf), e le forze paramilitari (Rsf) comandate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come “Hamedti”. Il primo, un tempo stretto alleato di Bashir e comandante militare responsabile delle sue campagne criminali in Darfur, ha presieduto il Consiglio militare di transizione finalizzato all’instaurazione di un regime democratico fino a ottobre 2021, quando con un colpo di Stato ha rovesciato il Primo Ministro civile Abdalla Hamdok. Il governo Bashir ha reso possibile la scalata al potere anche di Hemedti, discendente di una famiglia di pastori di cammelli. Hemedti è diventato così il leader della milizia in seguito diventata Rsf. Una milizia la cui data di scadenza era stata posta a dicembre 2022, quando la comunità internazionale ha promesso aiuti economici perché il Paese intraprendesse la strada verso un’amministrazione civile: fra le condizioni dell’accordo c’era anche lo scioglimento dell’Rsf che avrebbe dovuto essere integrato nell’esercito. Una clausula apertamente respinta da Hemedti, intenzionato a mantenere il potere raggiunto.

Alleanze

I due leader si contendono la leadership politica e il controllo economico del Paese. Burhan ha firmato accordi di normalizzazione con Israele e mantenuto relazioni diplomatiche con l’Egitto e gli Stati del Golfo, perseguendo una politica estera di impegno con gli Stati Uniti, principale donatore di aiuti del Paese. Hamedti, invece, ha perseguito un’agenda indipendente, stringendo alleanze con i gruppi ribelli del Darfur e del Sud Kordofan e con i mercenari Wagner – dopo aver promesso ai russi una concessione per una base navale sul Mar Rosso – e costruendo un vasto impero economico basato sul commercio dell’oro e sull’estrazione del petrolio.

Oltre 10 milioni di sfollati

I combattimenti del nuovo conflitto si sono da tempo estesi dalle strade della capitale del Sudan, Khartoum, alla regione occidentale del Darfur, dove una guerra civile tra il 2003 e il 2008 ha causato 300.000 vittime, secondo le stime delle Nazioni Unite, e dove circa due milioni di persone sono fuggite dalla violenza. La guerra ha causato circa 15.000 morti, molti dei quali civili. Gli sfollati sudanesi sono circa 10,7 milioni, il numero più alto al mondo, di cui più di due milioni hanno cercato rifugio nei Paesi vicini. Il 50% dei bambini, almeno 14 milioni, ha bisogno di aiuti umanitari. Il lavoro umanitario sta diventando sempre più difficile, dicono le Ong. In una nota, Medici senza frontiere afferma che “il Sudan sta affrontando una delle peggiori crisi mondiali degli ultimi decenni, un colossale disastro causato dall’uomo”. Emergency riferisce che Khartoum è una città fantasma e che Port Sudan sembra ormai un vasto campo profughi. La città sul Mar Rosso ospita più di 500.000 sfollati, tra cui molti membri della Chiesa locale fuggiti dalla capitale.

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