di Raffaele Crocco
Sono 181 giorni di massacro, non di guerra, quelli nel cielo e nella terra di Gaza. L’indignazione mondiale cresce, di pari passo all’incapacità dei governi di fermare Israele, nonostante la risoluzione dell’Onu che chiede il cessate il fuoco. Netanyahu non abbondona l’idea della “soluzione finale”, ma ora il rischio di isolamento di Israele sale davvero. A scuotere l’opinione pubblica è stato l’omicidio gratuito di sette operatori umanitari dell’organizzazione World Central Kitchen. Stavano distribuendo pasti ai palestinesi. Sono stati presi di mira “in maniera sistematica, bombardando un’auto dopo l’altra” dall’esercito israeliano.
Lo ha denunciato il fondatore della Ong, Jose Andres, che ha respinto al mittente le scuse dei militari di Tel Aviv e non ha accettato l’agghiacciante giustificazione di Netanyahu: “un errore – ha detto – in guerra succede”. Il Governo statunitense si è detto indignato per la morte degli operatori, così come l’Australia. Nel quadro delle alleanze del Risiko mondiale, Israele rischia di diventare una “scheggia impazzita e fuori controllo”, capace di allargare il perimetro dello scontro. Lo dimostra la scelta del cinico capo del governo israeliano di scatenare un attacco aereo su Damasco, in Siria, anche qui evitando accuratamente di rispettare una qualsiasi, altrui sovranità. L’Iran ha promesso una risposta militare durissima e la tensione nella regione è sempre più alta. Intanto, l’azione dell’esercito israeliano è continua, la pressione sulla popolazione in fuga costante. In queste condizioni, difficile immaginare una qualsiasi fine della carneficina. Una novità potrebbe venire dalla politica interna israeliana. Il capo del Governo appare in difficoltà. Il ministro della Guerra, Benny Gantz, ha chiesto ufficialmente di andare ad elezioni anticipate in settembre. La risposta del Likud, partito di Netanyahu, è stata lapidaria: si andrà avanti con questo governo sin o a quando gli obiettivi militari non saranno stati raggiunti.
Non troppo distante, si leggono altri capitoli di questo scontro planetario fra “fliomericani” e “antagonisti”. Nei giorni del suo settantacinquesimo compleanno, la Nato si è riunita per affrontare le difficoltà crescenti dell’esercito ucraino davanti alla macchina da guerra russa. Gli osservatori sostengono che le linee di difesa di Kiev potrebbero crollare da un giorno all’altro. Sarebbe la fine di ogni speranza di vittoria, alimentata in questi mesi proprio dall’Alleanza Atlantica. Il tentativo è di rilanciare. Lo ha spiegato il segretario uscente, Jens Stoltenberg, proponendo tra l’altro una “struttura di supporto di lungo termine e programmabile per l’Ucraina”. Si tratta di un fondo di 100miliardi di dollari, che dovrebbe rendere più rapida l’acquisizione di armi. “Non è per la loro sicurezza, ma per la nostra”, ha aggiunto Stoltenberg . Non ci sono state decisioni finali, ma l’Alleanza si prepara costantemente ad una possibile e immaginata guerra europea contro Mosca. In Romania, sono ad esempio iniziati i lavori per la nuova base Nato. Sarà realizzata vicino a Costanza e sarà la più grande d’Europa. Su circa 2.800 ettari, ospiterà fino a 10.000 militari, con le loro famiglie e il personale di supporto essenziale. Costerà almeno 2,5miliardi di euro.
Intanto, ci si confronta anche sul mare. In settimana, navi russe sono state avvistate nel Canale di Sicilia, al largo di Pantelleria. A comporre la squadra erano la Ivan Gren, classe di nave da guerra anfibia, l’Alexander Otrakovsky e la petroliera Kola. Una crociera normale e prevista, le navi erano dirette alle basi russe in Siria. Ma l’allarme è scattato, immediato. Più lontano, nel Pacifico, si rafforzano le alleanze politico militari. Regno Unito e Australia hanno siglato un accordo che prevede utilizzo e scambio di basi, mezzi e truppe. Nel mar Rosso, invece, è caos totale. Gli yemeniti Houthi hanno attaccato la scorsa settimana il cargo cinese Huang Pu, nonostante avessero sempre detto che non avrebbero attaccato navi di Pechino. Ci sarebbe infatti, un accordo fra Houthi, Russia e Cina per la sicurezza delle navi. In qualche modo è saltato. I danni economici dell’azione Houthi si stanno facendo rilevanti. Secondo gli analisti, ad esempio, l’84% delle industrie dell’automobile hanno subito danni diretti dal blocco navale del mar Rosso. E la situazione destinata a peggiorare nelle prossime settimane.