Il nodo dello Stretto

Teheran ha fatto sapere che prevede di quadruplicare la produzione di uranio arricchito a basso livello e che entro pochi giorni raggiungerà il limite delle scorte consentite dall'accordo sul nucleare concordato nel 2015. Una partita che si gioca attorno a un braccio di mare strategico per le vie del greggio

Dopo una guerra di parole tra Stati Uniti e Iran, Teheran ha fatto sapere che prevede di quadruplicare la produzione di uranio arricchito a basso livello e che entro pochi giorni raggiungerà il limite delle scorte consentite dall’accordo sul nucleare concordato nel 2015. Il portavoce dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana (Aeoi), Behrouz Kamalvandi, ha spiegato oggi che l’Iran raggiungerà il livello consentito di 300 kg di uranio arricchito il 27 giugno.

E’ un botta e risposta continuo e pericoloso che si gioca lungo il canale marittimo che oppone l’Iran ai suoi vicini, alleati con gli Stati Uniti. Al centro c’è lo stretto di Hormuz, una passaggio profondo ma relativamente stretto e che non sarebbe difficile da bloccare. Perché è tanto importante?

Lo stretto di Hormuz è al momento il punto più caldo del pianeta, un imbuto di appena 21 miglia di larghezza da cui passa un quinto delle esportazioni di petrolio del mondo, e punto nevralgico della tensione che si accentua fra Usa ed Iran. Che ha trovato il suo momento di crisi con i due attacchi a petroliere avvenuti giovedì 13 giugno. Nel 2019, circa 19,5 milioni di barili al giorno di condensati grezzi e di gas naturale – utilizzati nella produzione di olio pesante – sono transitati per lo stretto. Con un consumo globale di petrolio di circa 100 milioni di barili al giorno, significa quasi un quinto del petrolio mondiale passa di qui.

Si tratta in realtà di due corridoi di appena 2 miglia di larghezza, uno per le navi in uscita e uno per quelle in entrata. Qui enormi petroliere si sorpassano come auto in autostrada; e qui il 14 maggio si sono verificati altri due attacchi simili. Vi sono altri stretti dal passaggio obbligato, come il Canale di Suez in Egitto (5,5 milioni) e lo Stretto di Malacca tra la Malesia e Sumatra, 16 milioni di barili. Ma Hormuz è di gran lunga il più importante, anche perche le sue due coste vedono fronteggiarsi a Sud molti degli alleati degli americani nella zona, che hanno di fronte una costa tutta iraniana. Per passare attraverso lo stretto, le navi devono navigare attraverso le acque territoriali di Oman e Iran. Gli Emirati arabi uniti si trovano anch’essi in prossimità dello stretto, a sud.

È di particolare importanza per l’Iran in quanto è la principale via di esportazione del petrolio e quindi cruciale per la loro economia. All’inizio di quest’anno, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di porre fine alle esenzioni per i paesi che acquistano petrolio dall’Iran, e affermando che d’ora in poi la politica è “zero importazioni” dall’Iran, per tutti. Teheran ha minacciato, se Trump bloccasse le sue esportazioni, di far in modo che nemmeno un barile di grezzo possa uscire dal Golfo Arabico. Per attraversare lo Stretto di Hormuz tutto il traffico marittimo, compresa la Marina degli Stati Uniti, deve navigare attraverso le acque territoriali iraniane. Ma la Quinta Flotta statunitense, con sede in Bahrain, ha il compito di proteggere le navi commerciali nella zona.

Immediata la reazione del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, che ha attribuito all’Iran l’attacco alle due petroliere del 13 giugno: ”Questa valutazione si basa sull’intelligence, le armi utilizzate, il livello di esperienza necessario per eseguire l’operazione, recenti attacchi iraniani simili, e il fatto che nessun gruppo operante nell’area abbia le risorse e la competenza per agire con un livello così alto grado di sofisticazione “.

Ma anche in America si dubita della attribuzione a Teheran degli attacchi:”Non aiuta davvero l’Iran ostacolare il transito e il flusso di petrolio nello Stretto di Hormuz … perché alienerebbe loro qualsiasi sostenitore esterno, l’Unione Europea, e i clienti asiatici che hanno cercato di collaborare con l’Iran “, ha dichiarato ad esempio alla CNBC John Kilduff, socio fondatore dell’hedge fund Again Capital. E c’è chi fa notare che le due petroliere colpite avevano entrambe relazione col Giappone. Proprio nel momento in cui il primo ministro del Sol levante, Shinzō Abe, si trovava a Teheran per colloqui con le massime cariche dello stato iraniano.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, il Giappone ha sempre perseguito quella che viene definita una politica estera omnidirezionale, il che significa, nel caso del Medio Oriente, che Tokyo sta cercando di parlare con tutti, rimanere amici con tutti, per assicurarsi la continuità nell’approvvigionamento di petrolio. Questi attacchi così puntuali non possono che destare sospetto.

(Red/Ma.Sa/E.G.)

In questo video diffuso dalla rete britannica Bbc (da cui è tratta anche l’infografica nel testo che illustra le vie del traffico petrolifero) vengono spiegati in sintesi i motivi dell’importanza di questa area del mondo

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