Dopo 500 anni, a rischio la neutralità della Svizzera

Pressioni interne e dall’estero per indurre la Confederazione a schierarsi. Ma forse è solo questione di soldi  

di Maurizio Sacchi

La Svizzera manterrà invariata la propria normativa in materia di esportazione e, soprattutto, riesportazione di armi. Così ha deciso il consiglio degli Stati, che ha respinto la mozione del consigliere Thierry Burkart, volta ad ammorbidire quantomeno il divieto verso Paesi terzi. La mozione di Burkart sostiene che un allentamento della normativa sulla riesportazione non contravverrebbe alla neutralità e permetterebbe di rafforzare la base tecnologica e industriale della Confederazione Elvetica. “Diversi Paesi cui abbiamo negato la riesportazione – ha spiegato il consigliere – ci hanno fatto intendere che, in futuro, potrebbero rivolgersi altrove per rifornirsi di armi”.

Una motivazione economica, a detta dell’esponente della destra svizzera. Secondo il promotore, la mozione serviva proprio a tutelare l’industria bellica elvetica e, solo di riflesso, “a rendere credibile la nostra neutralità armata”, ha aggiunto Burkart. Per il consigliere elvetico “la guerra in Ucraina dimostra quanto sia stretta la cooperazione militare tra i Paesi che condividono i nostri valori, tra cui figura il rispetto del diritto internazionale violato gravemente dalla Russia. Se neghiamo loro il diritto di trasferirsi reciprocamente le armi e i sistemi d’arma acquistati in Svizzera, ostacoliamo i loro sforzi in materia di sicurezza, di cui beneficiamo anche noi”.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sta minando la secolare neutralità della Svizzera e sta mettendo il Paese in una situazione di interessi contrastanti, cui si sommano le accuse di perseguire una “neutralità di interesse economico”. L’industria bellica svizzera produce munizioni indispensabili per alcune delle armi che gli europei hanno fornito all’Ucraina, nonché alcuni dei carri armati Leopard 2 promessi. Ma le regole su dove queste armi possono andare sono severe: una legge, ora oggetto di un acceso dibattito, vieta alla Confederazione Elvetica di vendere armi svizzere a qualsiasi nazione in guerra o di fornirle a Paesi terzi per essere riesportate e utilizzate in un conflitto (in questo caso verso l’Ucraina).

Attualmente, un’autorizzazione di esportazione di materiale bellico elvetico può essere concessa soltanto se lo Stato acquirente firma una dichiarazione di non riesportazione, promettendo che il materiale non verrà ceduto a Paesi terzi. Ciò per evitare che armi elvetiche vengano utilizzate in conflitti armati o finiscano in mano a terroristi. Gli oppositori della mozione hanno tuttavia osservato che “qualora la Svizzera dovesse modificare nel corso di una guerra le proprie leggi per concedere a un gruppo di Stati scelti il diritto di riesportare le sue armi perderebbe agli occhi del mondo la propria credibilità e svilirebbe quella neutralità che in passato ci ha protetti più volte da conflitti sanguinosi. Se anche una sola munizione fabbricata in Svizzera venisse sparata contro la Russia verremmo subito collocati nel campo degli avversari di questo Paese. La Svizzera può rendersi utile in questa guerra in altri modi, mediante l’aiuto umanitario o costruendo ponti tra i contendenti come è nella nostra tradizione”. 

La mozione è stata quindi bocciata, con 23 voti contrari, 18 favorevoli e 2 astenuti. Burkart é un esponente della frangia destra dell’FDP. Si definisce “coerentemente borghese” e ha la politica dei trasporti e quella economica come priorità politiche. Oltre a martellare sul tema della sicurezza. Nel 2008 è diventato vicepresidente di Perspective CH, un movimento che, secondo le sue stesse dichiarazioni, afferma di sostenere “il cosmopolitismo e la sovranità”.

In termini di politica di sicurezza, sostiene un esercito di milizia con attrezzature moderne e chiede nuovi aerei da combattimento per l’Aeronautica Militare Svizzera. Nell’agosto 2021, Burkart è stato eletto Presidente del nuovo gruppo di politica di sicurezza Allianz Sicherheit Schweiz. Questa organizzazione di stampo civico si considera l’antitesi del Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSoA – GSsA – GSsE), un’organizzazione antimilitarista che si oppone a qualsiasi coinvolgimento della Confederazione elvetica nella guerra e si impegna per la giustizia globale.

Intanto aumentano le pressioni sulla Svizzera a favore di un maggiormente chiaro schieramento nel conflitto. L’ambasciatore Usa a Berna, Scott Miller, si è detto poco soddisfatto della Segreteria di Stato dell’economia (Seco), deputata a sorvegliare l’applicazione delle sanzioni alla Russia. La sua preoccupazione è per “alcuni commenti” della direttrice Helene Budliger Artieda, che “rimettono in discussione l’utilità delle sanzioni”.

Gli Stati Uniti avrebbero preso atto dei 7,75 miliardi di franchi di beni russi congelati in Svizzera, ha aggiunto il diplomatico. Ma “la Svizzera potrebbe bloccare altri 50-100 miliardi”, secondo Miller, che chiede accordi internazionali di coordinamento. L’ambasciatore Usa a Berna ha inoltre esortato la Confederazione elvetica a prendere parte alla task force “Russian Elites, Proxies and Oligarchs” e a partecipare alla discussione su come confiscare questi fondi nel quadro del diritto internazionale e nazionale degli Stati. La Svizzera non ha mostrato finora alcuna disponibilità in tal senso. E per l’ambasciatore Usa a Berna, i Paesi che non si impegnano nella confisca dei fondi russi dovrebbero aspettarsi conseguenze.

Per quanto riguarda la discussione sulla fornitura di armi, Miller ritiene che la Svizzera si trovi nella crisi più grave dalla Seconda guerra mondiale. “Si sta confrontando con il significato di neutralità. Noi la comprendiamo e la rispettiamo”, afferma l’ambasciatore Usa. Ma non si tratta di una costruzione statica. Per Miller, Berna non può definirsi neutrale e permettere che una o entrambe le parti usino le sue leggi a proprio vantaggio. “Gli Stati Uniti e gran parte della comunità internazionale che sostengono l’Ucraina ritengono che il parlamento svizzero debba consentire la riesportazione il prima possibile”, afferma ancora il diplomatico. Se Berna avesse dato per scontato che il materiale bellico elvetico non sarebbe mai stato utilizzato nei conflitti, non avrebbe mai potuto fornire armi ad altri Paesi, conclude Miller.

Tali dichiarazioni, rilasciate dall’ambasciatore degli Stati Uniti a Berna  alla Neue Zürcher Zeitung giovedì 16 marzo, sono state definite  “irritanti” dal consigliere nazionale del Canton Ticino Marco Romano, secondo cui il diritto di proprietà e della libertà economica ancorato nella costituzione non può essere ignorato solo perché sei “un oligarca”, poiché specchio di una certa “ignoranza” diffusa all’estero circa il sistema politico e costituzionale elvetico.

“È senz’altro vero che la Svizzera è sotto pressione e che le parole dell’ambasciatore degli Stati Uniti hanno una risonanza importante”, ha spiegato il deputato ticinese di Mendrisio. “Ma ciò non significa che dobbiamo calpestare, come avviene magari altrove, i diritti di proprietà, per noi un valore essenziale (…) sono il primo che si batte per il sequestro di beni frutto di attività illecite, come nel caso della criminalità organizzata, ma alla base c’è un reato riconosciuto come tale da un tribunale. Ciò non significa però che se sei un cittadino italiano, allora ti devono sequestrare tutti i tuoi patrimoni, solo perché potresti essere in odore di mafia (…) Quanto alla trasparenza del settore bancario messa in dubbio dall’ambasciatore americano, non credo che gli Stati Uniti possano darci lezioni”, ha puntualizzato Romano.

Intanto, la Svizzera ha deciso di sbarazzarsi delle sue batterie terra-aria Rapier di fabbricazione britannica: 60 sistemi acquistati dalla Confederazione elvetica negli anni ’80, regolarmente aggiornati da allora, sono stati dichiarati inadatti al servizio tre mesi fa, e destinati alla rottamazione, anche se questo tipo di equipaggiamento è proprio quello che richiede l’Ucraina. Un altro segnale del rifiuto della Svizzera di abbandonare la propria neutralità. Nelle ultime settimane, Berna ha rifiutato di fornire alla Germania quasi 12.000 munizioni per i carri armati antiaerei Guepard. Il motivo è quello già citato: le munizioni sono state prodotte in Svizzera e le clausole di esportazione ne vietano il trasferimento a un Paese in guerra.

”Le armi svizzere non devono essere utilizzate nelle guerre”, ha ribadito l’8 marzo a New York il Presidente della Confederazione Elvetica, il socialista Alain Berset. Il quale ha poi denunciato “una frenesia omicida in certi ambienti”. Berset ha poi aggiunto: “Rispetto la posizione di altri Paesi, ma anche la posizione della Svizzera deve essere rispettata”. 

Questa neutralità parte dal 1525, dopo la sanguinosa sconfitta degli svizzeri a Marignano. La battaglia pose fine una volta per tutte alle aspirazioni elvetiche a Milano, e la Confederazione non entrò mai più in guerra contro la Francia o la città lombarda. In effetti, dopo il 1525 la Svizzera non prese più parte ad un conflitto (a parte la conquista del Vaud da parte del Cantone di Berna che agì da solo nel 1536) e non ci fu mai più alcuna offensiva militare elvetica contro un nemico esterno. La storiografia svizzera tende ad attribuire questo fatto alla “lezione di Marignano”, ma è stata poi formalizzata nel 1815 ed è stata riaffermata nel 1993 da un rapporto del Consiglio Federale. 

Ufficialmente il 90% degli svizzeri sostiene la neutralità. Ma sempre più voci si levano per denunciare l’ipocrisia di tale posizione, che si ferma dove iniziano gli interessi economici. La Svizzera vende molte armi, l’equivalente dell’1% del proprio prodotto interno lordo. Alcuni ecologisti, liberali, cristiano-democratici e socialisti sostengono una revisione di questa posizione. Solo la SVP, il movimento populista di destra, vuole mantenere la neutralità a tutti i costi. E propone di inserirla nella Costituzione. Ma secondo i sondaggi, il 53% degli elvetici rifiuta l’idea di una neutralità permanente.

Nella foto copyright-free, veterani a cavallo elvetici a una sfilata del 2006

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