La guerra di Ortega alla Chiesa del Nicaragua

Vescovi e sacerdoti. Arresti e intimidazioni. La campagna del Governo contro i vertici cattolici non si ferma

di Gianni Beretta

Seguo con preoccupazione quanto accade in Nicaragua dove vescovi e sacerdoti sono stati privati della libertà; trasmetto loro, alle loro famiglie e a tutta la chiesa di quel paese la mia vicinanza nella preghiera”. Così si è espresso papa Francesco nel suo primo Angelus del 2024 riferendosi agli eventi degli ultimissimi giorni nel Paese centroamericano. La persecuzione religiosa in Nicaragua ha registrato infatti un’incredibile impennata con la detenzione di ben tredici sacerdoti.

Tutto è cominciato alla vigilia di Natale con l’arresto del vescovo di Siuna (Costa Atlantica) mons. Isidoro Mora il quale si era permesso in un’omelia di pregare per il suo omologo confinante di Matagalpa Rolando Alvarez, in carcere dal febbraio scorso con una condanna a 26 anni per “cospirazione e tradimento della patria”. Alvarez, mentre era già ai domiciliari, si era rifiutato di abbandonare il paese con i 222 detenuti politici che vennero allora deportati negli Stati Uniti e privati della nazionalità nicaraguense. Oltre ai due prelati e ai 13 preti si trovano ora detenuti pure alcuni seminaristi. Senza contare i 12 presbiteri che nell’ottobre scorso erano stati spediti a forza a Roma. E le decine che sono riparati all’estero o cui è stato proibito di far ritorno nel loro paese dopo un viaggio all’estero.

Se si rimonta all’indomani della rivolta popolare del 2018 repressa nel sangue dal regime, risulta che in questi cinque anni sono stati espulsi un totale di 220 religiosi, a cominciare dalle monache della congregazione di Madre Teresa di Calcutta. Così come sono state chiuse tutte le radio e il canale tv cattolico. Fino a proibire qualsiasi funzione religiosa all’aperto come processioni, messe per i morti nei cimiteri e presepi viventi. Per arrivare nell’agosto scorso alla clamorosa confisca dell’Università centroamericana dei gesuiti e la messa fuori legge della stessa Compagnia di Gesù.

L’altro giorno è finito in galera pure il vicario generale della diocesi di Managua, mons. Carlos Aviles, che nel passato aveva criticato il presidente Daniel Ortega per l’accanimento contro la chiesa. Mancherebbe ora solamente il cardinale capitalino, Sua Eminenza Leopoldo Brenes, la cui abitazione è comunque permanentemente sorvegliata dalla polizia da oltre un anno. La regista di questo imperversante delirio è la copresidente Rosario Murillo, moglie di Ortega, autoinvestitasi come papessa. Che l’altro giorno, nel suo quotidiano messaggio radiofonico ha definito quei sacerdoti dei “diavoli” che “parlano di fede con sentimenti diabolici”. Salvo poi chiudere come sempre le sue locuzioni inneggiando a “ nostro signore iddio”.

È intervenuto anche l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani stigmatizzando il comportamento del governo del Nicaragua che “si allontana dallo stato di diritto violando le libertà fondamentali”. Nel corso di una deriva che ha visto l’incarceramento di ulteriori 130 detenuti politici. Mentre si calcola che dal 2018 circa 600mila nicaraguensi (il 10% dell’intera popolazione) abbiano abbandonato il paese.

Nel suo intervento del primo gennaio dal Palazzo Apostolico papa Francesco ha in ogni caso auspicato l’apertura di “un dialogo per superare le difficoltà”. Ma dal marzo scorso Ortega e consorte hanno sospeso le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, dopo che l’anno prima ne avevano cacciato il nunzio apostolico. Tanto che in una recente intervista all’agenzia d’infomazione argentina Infobae, il pontefice aveva parlato di “dittatura volgare”, lasciandosi andare con sconforto a un “non mi resta che pensare a qualche squilibrio da parte di chi la dirige”.

In copertina la coppia presidenziale della famiglia Ortega in un fotogramma del video dedicato da Deutsche Welle alla proibizione delle celebrazioni della Settimana santa in aprile

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