Si vis pacem para bellum. Il punto

Mentre la strage dei Palestinesi continua e scocca il giorno 758 dall’invasione russa dell’Ucraina, la tensione del Risiko mondiale sale. E l’Europa mette sul tavolo le proprie carte

di Raffaele Crocco

Siamo tornati al “se vuoi la pace, prepara la guerra”. Sembrava un’idea superata, vecchia e un po’ fascista: è tornata di moda. A pronunciarla alla vigilia del vertice di marzo dell’Unione Europa è stato il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Nel Risiko mondiale fra “filoamericani” e “antagonisti”, l’Unione appare sempre più disperata e spaventata. La guerra in Ucraina è diventata il “motore del futuro” per l’Unione, che vuole trasformarsi in una macchina militare produttiva ed efficiente. La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha incaricato l’ex Presidente finlandese, Sauli Niinisto, di redigere un rapporto su come migliorare la preparazione e la prontezza d’intervento della difesa dell’Ue. Non a caso, la Finlandia: Stato diventato simbolo delle nuove tensioni internazionali con Mosca, dopo l’adesione alla Nato. E la presidente ha rincarato la dose con una frase precisa: «E’ chiaro – ha detto – che non c’è più spazio per le illusioni: il Mondo è diventato più pericoloso e l’Ue si deve svegliare. Sappiamo che le ambizioni di Putin non si fermano all’Ucraina».

Così, mentre scocca il giorno 758 dall’invasione russa dell’Ucraina, la tensione del Risiko mondiale sale, con l’Europa che mette sul tavolo le proprie carte. Dopo le voci – ma forse non sono solo voci – e le ipotesi di soldati francesi e dell’Unione schierati sul campo di battaglia in Ucraina, arrivano le scelte per rafforzare le difese. La paura europea nasce, probabilmente, anche dal timore di una vittoria di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, il prossimo novembre. Con il miliardario – ma lo è ancora? – alla presidenza degli Stati Uniti, lo spettro di un indebolimento del ruolo statunitense nella difesa europea assumerebbe contorni di verità e realtà. Quindi, in qualche modo e confusamente, l’Unione si prepara a fare da sé, sfidando apertamente Mosca.

E’ il segno del caos planetario. Mentre sul fronte militare poco accade e il logoramento dell’esercito ucraino continua, Kiev si muove sul fronte politico. Dallo staff del presidente Zelensky filtra la speranza che la Cina possa partecipare al vertice per la pace in Ucraina, in programma in Svizzera. Vertice che nasce comunque monco: non sarà, infatti, invitata la Russia. Zelensky, per altro, è entrato mani e piedi nella questione del Risiko planetario, spiegando che a suo modo di vedere la leadership degli Stati Uniti dovrebbe «rimanere salda nella protezione dell’ordine internazionale» oggi più che mai. Ha aggiunto che Putin deve perdere la guerra: «E’ una questione di vita o di morte per il Mondo democratico».

Un’opinione che, evidentemente, non fa arretrare Mosca. Secondo gli analisti internazionali, Putin sta effettivamente lavorando ad un’alleanza sempre più forte con Cina, Iran e Corea del Nord. L’obiettivo è creare una coalizione che sia in grado di controbilanciare quella dell’Occidente, anche sul piano economico. E nell’alleanza entreranno anche moti altri “antagonisti”, pronti a contrastare i “filomaericani”. La partita è sempre più planetaria: il Presidente iraniano Ebrahim Raisi ha avuto contatti con Putin per rilanciare la cooperazione bilaterale e trovare strumenti per stabilizzare il Caucaso meridionale: parliamo di Armenia e Azerbaigian.

Più distante, a Gaza, la strage dei Palestinesi continua. Il diritto umanitario è sospeso, con Israele che continua a bloccare gli aiuti – cibo e medicine – alla popolazione palestinese ammassata in pochissimi chilometri quadrati. A peggiorare il quadro, c’è l’annuncio fatto da Netanyahu di avere dato l’ok ai piani per attaccare Rafah, a sud della Striscia. Li sono ammassate più di un milione e mezzo di persone, che si troverebbero nel mezzo dell’attacco, con nessuna via di fuga sicura. Washington sta cercando di convincere il Premier israeliano a non attaccare e a garantire la sicurezza alimentare ai palestinesi. Il Governo israeliano appare irremovibile e gli osservatori delle Nazioni Unite parlano in modo sempre più esplicito di volontà di “pulizia etnica” da parte di Tel Aviv nei confronti dei palestinesi.

Il dramma si misura, ad oggi, in più di 32mila morti – almeno un terzo sono bambini – e quasi 80mila feriti. Una macelleria che Israele non ha intenzione di fermare. Le conseguenze arrivano sino al mar Rosso. Gli attacchi degli Houthi yemeniti alle navi europee e filoisraeliane continuano, ma si è aggiunto un elemento nuovo. Un missile Houthi a lungo raggio in settimana è caduto vicino alla città israeliana di Eilat, sul Mar Rosso. Il missile è arrivato senza essere avvistato, tracciato e distrutto dalle difese aeree di Tel Aviv o delle tante navi statunitensi, inglesi ed europee delle coalizioni anti-houthi presenti nell’area. Due gli elementi di inquietudine. Il primo è che potrebbe trattarsi di un nuovo modello di missile ipersonico, in grado di superare indenne le difese aeree avversarie. Il secondo motivo è che è stata raggiunta e colpita una città israeliana. La guerra si allarga, insomma. La grande partita del Risiko planetario muove sempre più pedine.

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