I sudanesi contro Bashir

Alle proteste nate dalla crisi economica si aggiungono quelle che richiedono le dimissioni del presidente al potere dal 1989

Il Sudan è in subbuglio. Da dicembre 2018, infatti, si sono intensificate le proteste contro il suo uomo forte: Omar Hassan al-Bashir. Migliaia di persone sono scese in piazza per opporsi alle politiche economiche previste per il 2019. Le ragioni delle proteste sono molte e varie: dall’inflazione alle stelle, al carovita, fino alle manovre promosse dalla Banca Centrale del Sudan per raggiungere la stabilità finanziaria. A scatenare gli animi poi l’aumento vertiginoso dei prezzi di prima necessità. Pane in primis. La decisione del governo di ridurre i sussidi statali ha portato infatti al raddoppio dei prezzi del pane, scatenando diverse proteste dall’inizio del 2018.

Da mesi la situazione economica del Paese è tragica e la crisi di liquidità delle banche ha portato il governo a limitare i prelievi bancari.In  questo contesto, a gran richiesta, la piazza urla le dimissioni di Bashir. Il presidente, in carica del 1989, è tuttora ricercato dalla Corte Penale Internazionale per i crimini commessi nella regione del Darfur. A lui, arrivato al potere con un colpo di stato militare, la popolazione contesta corruzione, povertà e in generale la situazione di crisi che il Paese di trova a vivere. Situazione vissuta dal Sudan senza soluzione di continuità: dagli anni Cinquanta è stato un continuo susseguirsi di colpi di stato, di giunte militari, conflitti e crisi economiche e sociali.

La risposta alle proteste di piazza è stata in stile Bashir. Il Presidente ha infatti posto come priorità il mantenimento dell’ordine pubblico, “costi quel che costi”. Ed infatti le forze di sicurezza hanno sparato gas lacrimogeni alle persone che cercavano di marciare verso il palazzo del presidente. Secondo altre testimonianze raccolte da Euronews, sarebbero state utilizzate anche granate stordenti e vere e proprie raffiche d’arma da fuoco. Secondo Amnesty International sarebbero almeno 37 le vittime delle proteste, tra cui due militari. Il presidente del Sudan sta affrontando crescenti richieste di dimissioni che non arrivano solo dalla piazza.

Il 2 gennaio ventidue partiti e gruppi politici dell’opposizione sudanese hanno chiesto che Bashir trasferisca il potere a un governo di transizione che stabilisca una data per le elezioni democratiche. I raggruppamenti, che si autoproclamano Fronte nazionale per il cambiamento, includono alcune fazioni islamiche che un tempo erano alleate con Bashir. I gruppi dovrebbero presentare un memorandum con le richieste al presidente nei prossimi giorni e hanno avvertito che il mancato passaggio a un nuovo sistema politico avrebbe “conseguenze disastrose” per il Sudan. Intanto già alcuni partiti tra cui il Sudan Reform Now e Umma hanno annunciato il loro ritiro dal governo di coalizione di Bashir.

La crisi del Sudan non è cosa nuova (qui la scheda conflitto dell’Atlante delle Guerre). Il Paese è infatti in preda alla recessione economica almeno dal 2011, quando le regioni meridionali (detentrici dei tre quarti della produzione petrolifera del paese) decisero di dare vita al Sudan del Sud.

I conflitti ancora aperti. Dai tempi della secessione del Sud sussistono conflitti che interessano gli stati di Abyei, del Sud Kordofan, del Nilo Azzurro, ovvero quegli stati della federazione ai quali il Governo di Khartum non ha consentito di scegliere attraverso l’autodeterminazione se rimanere con il Nord o passare nel nuovo Stato della Repubblica del Sudan del Sud.

di Al.Pi.

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