di Emanuele Giordana
Si è scritto molto nei giorni scorsi sulla ricorrenza afgana del 15 agosto e soprattutto della sofferenza delle donne ma anche su quella, più in generale, di un popolo ridotto alla fame. Pochi però, e spesso solo di sfuggita, hanno ricordato a cosa si deve questa fame: non solo al fatto che il precedente Governo era finanziato per due terzi dai Paesi che lo sostenevano e che, comprensibilmente, hanno ritirato il sostegno al nuovo esecutivo. In gran parte la responsabilità di quanto accade ora in Afghanistan, dove ancora non abbiamo dati certi sulla mortalità derivata da inedia e malattie connesse, si deve però al congelamento – questo si illegale – di quasi dieci miliardi di dollari che appartengono alla Banca centrale afgana dunque, di fatto, al Governo attuale di quel Paese. Ma poiché quel denaro si trova in banche americane (7 mld) ed europee si è deciso di esercitare una sorta di vendetta contro i vincitori della guerra, ossia i nuovi governanti di Kabul. Di fatto però, a pagare è l’intero popolo afgano. In questi giorni 32 organizzazioni afgane e internazionali hanno chiesto lo sblocco di quei fondi: il motivo lo spiega bene Kostas Moschochoritis, direttore generale di Intersos, in questo articolo del 12 agosto pubblicato originariamente per The New Humanitarian
“La crisi economica è un fattore importante che contribuisce alla tragica situazione umanitaria in Afghanistan oggi e ci sono molti fattori che a loro volta hanno portato al crollo dell’economia. Non vi è dubbio che la brusca sospensione dell’aiuto di sviluppo internazionale dell’anno scorso – scrive – abbia avuto un effetto a catena sull’economia: per 20 anni, il finanziamento dello sviluppo ha fornito circa il 70-80 percento del bilancio del governo precedente e il suo ritiro ha portato rapidamente il settori sanitari ed educativi alle loro ginocchia, che colpiscono milioni di persone”. Ed ecco il passaggio sui fondi congelati: “Circa 9,1 miliardi di dollari delle riserve nazionali dell’Afghanistan sono stati congelati all’estero e la mancanza di accesso a queste riserve sta effettivamente prevenendo la banca Afghanistan (DAB) – la Banca centrale dell’Afghanistan – di svolgere le sue principali funzioni regolamentari della gestione della volatilità del sistema bancario, stabilizzando il paese valuta e, per estensione, evitando drammatici aumenti del prezzo delle merci di base come cibo, carburante e medicine”. La carta moneta è già stata stampata in Polonia ma le sanzioni sul controvalore non la rendono disponibile. E’ li, congelata anch’essa.
Quale che sia il giudizio sui Talebani non si può ignorare come questo congelamento si configuri come un crimine contro tutti gli afgani – uomini, donne, bambini e anziani – e non solo verso chi li governa. Ma si è preferito parlare di diritti ignorando che stiamo violando il primo tra tutti: quello a vivere. O meglio a sopravvivere. E’ una strada che viene da lontano e per questo pubblichiamo qui sotto un video tratto dalla rubrica “Non solo pane” di Don Renato Sacco che ripropone un viaggio a Kabul del 2011, con Luisa Morgantini di Assopace, Tonio Dell’Olio di Libera, Flavio Lotti della Tavola della pace, lo stesso Sacco per Pax Christi e chi scrive per Afgana. Utile forse per capire cosa non è cambiato dopo 10 anni di guerra e negli altri dieci a seguire. Sino alla fine del conflitto nell’agosto 2021.
In copertina: forme di pane