Cile: morti e violenze, la protesta continua (aggiornato)

Bachelet, Onu, chiede un'inchiesta indipendente mentre il governo cancella il summit Apec e la Conferenza sul clima COP-25 in agenda a Santiago per novembre e dicembre

di Maurizio Sacchi

Mentre il Cile conta i suoi morti – almeno 20 al momento in cui scriviamo – e la cilena, ed ex presidente Michelle Bachelet apre un’indagine Onu sul comportamento delle forze dell’ordine di Santiago, nemmeno la decisione del presidente Sebastián Piñera di cambiare otto ministri del suo governo, né l’annuncio di misure sociali per alleviare la diseguaglianza, e tanto meno il ritiro dell’aumento di 30 centesimi di peso della metropolitana sembrano in grado di arrestare la protesta, che, secondo El Pais, ha portato in piazza un milione e 200mila persone nella sola capitale nella grande manifestazione di domenica 27 ottobre.

Il presidente Piñera. La pizza ne chiede le dimissioni

La manifestazione, in gran parte pacifica, ha visto però anche momenti di violenza,con manifestanti che hanno saccheggiato un centro commerciale di televisori, poi dati alle fiamme in segno di protesta per la copertura tendenziosa data dalle tv dei moti di protesta. Ma la reazione delle forze dell’ordine è stata assai più violenta, e per questo  il numero dei morti sale ogni giorno. I media internazionali hanno riportato con grande risalto, oltre ai morti, tutti di cittadini, anche i casi di stupro e di tortura da parte di carabineros e poliziotti.

Ora Michelle Bachelet, a capo dell’Alto commissariato  delle Nazioni unite per i diritti umani, che è stata la prima presidente donna del Cile prima di terminare il suo secondo mandato l’anno scorso, ha chiesto di indagare sulla risposta della polizia alle proteste. L’Alto commissario ha aggiunto che vi sono “inquietanti accuse di uso eccessivo della forza” da parte della sicurezza e delle forze armate incaricate di sorvegliare i disordini.

Sono profondamente turbata e rattristata nel vedere la violenza, la distruzione, le morti e gli infortuni verificatisi in Cile negli ultimi cinque giorni. È essenziale che tutte le azioni, da parte delle autorità e dei manifestanti, che hanno causato lesioni o morte, siano sottoposte a indagini indipendenti, imparziali e trasparenti”.

Insieme a “Bella ciao” la bandiera delle sollevazioni popolari è  lo slogan “Non 30 centesimi, 30 anni!” I 30 centesimi sono quelli dell’aumento, ora ritirato, del biglietto della metro; e i 30 anni quelli di regime economico super neo-liberista: il modello dei “Chigago boys”, che sotto Pinochet dettarono la linea economica del Cile, improntata a un modello di privatizzazione massima, e di taglio drastico della spesa sociale. Il risultato è stato di una crescita globale dell’economia cilena, in cui teoricamente il reddito pro-capite è il primo del Sudamerica, con più di 15.000 dollari all’anno. Ma dove la diseguaglianza fa sì che il 35 percento della popolazione viva al di sotto del limite di povertà.  Questa è la ragione per cui anche in questi giorni di  ottobre le manifestazioni continuano, e le strade e le piazze, non solo a Santiago, sono piene. Il cambio dei ministri viene visto infatti come un puro rimpasto, e ormai è chiaro che la piazza chiede una svolta radicale.

La diseguaglianza è il tema che ormai è in testa a tutti i titoli che riguardano le sollevazioni sociali, in America latina e non solo. Il caso del Cile è però emblematico, forse proprio perché è stato il primo laboratorio iperprotetto della allora nuova dottrina del neo-liberismo. El Pais dedica una lunga inchiesta al tema, in cui si dice: “Il Cile ha un livello di reddito di un Paese ricco, e la disuguaglianza di uno povero. In esso, quindi, le persone con più entrate possono raggiungere uno status simile a quello dei Paesi europei. Quelli con un potere d’acquisto inferiore, d’altro canto, sono molto più vicini ai loro vicini latinoamericani. Qualcosa che inevitabilmente si sposta sui due specchi in cui la nazione guarda quando si chiede come va: quando la classe benestante viene confrontata con le economie avanzate, considera che non è così lontana, e quindi evidenzia la distanza dal resto dal suo stesso continente. Ma quando segmenti popolari fanno lo stesso esercizio, quello che vedono è che la promessa di una vita ricca non si realizza.”

Qual è stato ed è il ruolo del Fondo monetario internazionale in tutto ciò? Sempre secondo il quotidiano di Madrid, “…è positivo che l’istituzione finanziaria riveda le politiche dei paesi membri e preservi la stabilità monetaria, ma spesso lo ha fatto trasformando l’America Latina in un banco di prova del radicalismo neoliberista, contrariamente all’assistenza applicata per decenni per aiutare i gruppi indifesi. La liberalizzazione del commercio e la riduzione del ruolo dello Stato nell’economia sostenute dal Washington Consensus (1989) hanno risposto fondamentalmente alle richieste degli Stati Uniti, incompatibili con una regione senza uno stato sociale in grado di attutire la durezza delle riforme a tutela della disoccupazione, maternità, malattia, infortuni o pensionamento. Le recenti rivolte sollevano interrogativi sulla fattibilità di accordi con il FMI per salvare i Paesi. Tuttavia, i governi che hanno chiesto tempo per riattivare l’apparato produttivo, generare occupazione e ricchezza per ripagare il debito, come l’Argentina, hanno avuto tempo e credito, ma hanno sì privatizzato con sofferenza, ma in un clima di  statalismo, populismo o in una democrazia sociale deformata. Improvvisazione e appropriazione indebita l’unica costante.”

A dimostrazione del caos che regna nel Paese, il governo cileno ha annullato ieri l’incontro dei leader economici della cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec) in agenda il mese prossimo (e dove i presidenti Donald Trump e Xi Jinping avrebbero dovuto firmare un accordo commerciale interinale). E’ stato cancellata anche la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – COP25 – prevista invece in dicembre.

Intanto la popolarità del presidente Sebastián Piñera è crollata al 14 percento, e tra i manifestanti si parla apertamente di dimissioni, di nuove elezioni, e di cambiare la costituzione, che è ancora quella lasciata da Pinochet. Per il momento, la partita politica in Cile è ancora aperta.

Aggiornato da Redazione alle 20.00

Nell’immagine di copertina, foto di  Diego González on Unsplash: forze dell’ordine davanti a una stazione del metrò

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