La catena umana del Libano

Da giorni i manifestanti chiedevano di formare un nuovo governo che superasse corruzione e divisioni religiose. Le dimissioni del premier sono arrivate ma non bastano

Le manifestazioni che hanno scosso il Libano non avevano precedenti nella storia del Paese dei Cedri: hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone e hanno paralizzato le principali vie di comunicazioni. Il ministro della salute Jamil Jabak ha dichiarato che il Paese si trova sull’orlo di una catastrofe sanitaria: in gran parte delle farmacie e degli ambulatori del Paese scarseggiano i medicinali essenziali a causa del blocco delle strade. Dal punto di vista economico, invece, le banche risultano chiuse dal 18 ottobre e il governatore della Banca centrale Riad Salameh ha affermato che il Libano rischia un imminente collasso economico. Inoltre Fadi Abu Shakra, rappresentante del settore energetico, ha riferito che in breve tempo i distributori rimarranno a corto di benzina. Le proteste, sostenute anche da parte del clero, hanno alla fine portato il governo Hariri alle dimissioni, dopo che il premier aveva licenziato i ministri ma non aveva rassegnato il suo incarico.

Dopo quasi due settimane di proteste antigovernative però il premier Saʿd al-Dīn Hariri ha presentato, in un discorso televisivo, le sue dimissioni. “Per 13 giorni il popolo libanese ha atteso una soluzione politica che arrestasse il deterioramento del clima. In questi giorni, ho provato a trovare un modo per ascoltare la voce del popolo e allo stesso tempo evitare pericoli per la sicurezza e l’economia. Oggi ho raggiunto un punto morto, e credo che a questo punto sia necessario dare una scossa”. Nel suo discorso Hariri ha esortato i libanesi a mantenere la stabilità e la sicurezza del loro paese. “Nessuno è più grande del Paese”.

 Le richieste dei manifestanti, che hanno organizzato una grande catena umana dal Nord al Sud del Paese, sono precise: formazione di un governo tecnico, elezioni parlamentari anticipate e conseguente elezione di un nuovo presidente. All’invito di nominare una delegazione incaricata di negoziare un possibile rimpasto di governo, i manifestanti hanno risposto di no, per preservare l’orizzontalità della protesta e non individuare un leader. L’analisi di Pierre Haski per Internazionale fa il punto sulle motivazioni delle piazze. Si parte dal “rifiuto della corruzione e dell’inefficacia dei governi, espresso da una gioventù privata del suo futuro e che, nell’epoca dominata da internet, non si rassegna alla mediocrità e all’incuria”.

Il dramma corruzione è infatti lampante in Libano. Secondo il Transparency Index il Paese è tra i 50 Stati più corrotti al mondo. Secondo le Nazioni Unite l’1% della popolazione detiene circa il 25% del reddito nazionale, e nel 2017 il 20% dei depositi bancari complessivi era concentrato in circa 1600 conti correnti, ovvero lo 0,1% di tutti i conti correnti. Il Paese possiede uno dei debiti pubblici più alti al mondo e quasi la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà relativa. In tutto questo, invece, le banche che detengono gran parte del debito nazionale, registrano profitti record.

Nella protesta libanese c’è poi una forte la componente laica che porta avanti il desiderio di superare le divisioni religiose che da tempo definiscono la società. In Libano, infatti, la costituzione ereditata dalla presenza francese si basa sugli equilibri delle confessioni religiose. “Le centinaia di migliaia di persone – scrive Haski – che scendono in piazza rivendicano una maggiore laicità”. 

Il Governo di Hariri, formatosi due anni fa, era composto da una coalizione che raggruppava quasi tutti i principali partiti del Libano, incluso Hezbollah. Non è ancora chiaro quale sarà la mossa del Presidente Michel Aoun che secondo alcuni potrebbe rifiutarsi di accettare le dimissioni di Hariri. Osservatori intervistati da Al Jazeera ritengono infatti che il primo ministro potrebbe usare questo come una sorta di tattica negoziale cercando di fare pressione sui suoi partner di governo.  Il giorno dopo le dimissioni del premier l’esercito libanese ha imposto ai manifestanti e attivisti la riapertura delle principali strade del paese, bloccate dal 17 ottobre. I militari sono intervenuti nel Sud del Paese e a Beirut dando ultimatum ai manifestanti.

Sulla questione libanese si è espresso l’Occidente. Francia e Germania si sono dette preoccupate per le dimissioni di Hariri perché rendono la crisi libanese più grave e, di conseguenza, il Paese instabile. Gli Stati Uniti hanno esortato le forze politiche libanesi a formare “urgentemente” un nuovo governo, così come le Nazioni Unite, che, attraverso il coordinatore speciale per il Libano, Jan Kubis, si sono augurate la “rapida formazione del nuovo governo”.

*In copertina l’immagine tratta da Eyes of Lebanon

di Red. Al/Pi.

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