di Elia Gerola
Una certezza: la tensione tra Iran ed Usa permane, ad oggi, anche con la Presidenza Biden, sebbene i toni ed i modi siano diversi. E’ ad esempio del 25 febbraio 2021 il comunicato diffuso dal Dipartimento della Difesa Americana, guidato dall’ex-generale afroamericano Lloyd Austin (nella foto di copertina con Biden), che annuncia che il primo attacco missilistico di precisione dell’Amministrazione Biden avvenuto il 23 febbraio 2021 su postazioni localizzate al confine tra Siria ed Irak, abbia avuto come obiettivo postazioni riconducibili a milizie supportate da Teheran: Kait’ib Hezbollah (KH) e Kait’ib Sayyid al-Shuhada (KSS). I morti sarebbero almeno 16. Sebbene l’operazione sia illegale sulla base del diritto internazionale, secondo quanto riporta l’esperta Mary Ellen O’Connell, le sue modalità e tempismo sono significativi. La giustificazione di Washington sarebbe la ritorsione americana per la morte di un proprio contractor civile in Irak, causata dalle milizie colpite. Da notare è che i toni di annuncio non sono stati però trionfalistici, soprattutto non è stata minacciata un’escalation militare, come successo in passato in simili casi, durante la Presidenza Trump. Questo, come la diminuita frequenza degli attacchi delle milizie sciite contro il contingente americano in Medioriente, dall’avvento della Presidenza Biden, lasciano quindi sperare in un rapporto più costruttivo e meno avversariale tra Washington e Teheran.
“L’Iran non considera quello attuale, come il momento giusto per un incontro negoziale informale” ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri Zarif. E’ appunto del 28 febbraio la notizia che il Governo iraniano, che visto l’attacco statunitense e il non ufficiale impegno a rimuovere le sanzioni economiche che lo attanagliano da parte di Washington, avrebbe rifiutato l’offerta di mediazione europea per ristabilire l’applicazione del JCPOA. Ma quanto negativa era diventata la spirale del conflitto tra Iran e Usa durante la Presidenza Trump? Quanto e come aveva impattato sulla questione dell’Accordo sul Nucleare Iraniano (JCPOA)?
Sin dal 2018 il JCPOA non è più stato completamente rispettato né dall’Iran, né dagli Usa. Come spiegato dalla Nuclear Threat Initiative, la responsabilità è di Washington, che con Trump alla Casa Bianca nel 2018 ha prima violato, reimponendo le sanzioni economiche contro Teheran e poi sospeso l’adesione Usa al trattato. Il problema? Trump abbia agito unilateralmente e senza “alcuna concreta prova” che Teheran stesse violando l’accordo. Gli Usa hanno inoltre costretto gli alleati europei a fare altrettanto. Questi ultimi hanno però escogitato uno strumento alternativo, INSTEX, cha ha permesso scambi legali ed essenziali tra Francia, Gran Bretagna , Germania e pochi altri stati europei con l’Iran. E’ stato recentemente impiegato per la fornitura di materiale sanitaria anti-Covid19.
La strategia adottata dell’Amministrazione Trump è denominata di “massima pressione” e sottende un razionale fortemente realista, basato su una sorta di assedio multidimensionale: economico attraverso le sanzioni atte a realizzare una coercizione economica; politico attraverso il rifiuto di sedersi al tavolo negoziale; militare attraverso l’indebolimento del potere militare iraniano culminato con l’assassinio mirato del potente Generale Qasem Soleimani nel gennaio 2020. La speranza era che l’Iran sviluppasse una crisi economica interna profonda, risultasse economicamente e politicamente isolato e fosse disposto a negoziare un trattato a lui più svantaggioso. Il fine ultimo è appunto l’indebolimento del regime teocratico sciita che governa il Paese. Tuttavia, nonostante la sistemica crisi economica che attanaglia la popolazione iraniana da qualche anno, caratterizzata da un’inflazione galoppante ed un isolamento commerciale che ha impedito al Paese sciita di vendere il proprio petrolio all’estero (solo la Cina lo acquista ancora), Teheran non ha ceduto.
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La ritorsione iraniana a quello che i funzionari di Teheran definiscono “terrorismo economico statunitense” si è esplicata su due piani: quello del JCPOA e quello della geopolitica mediorientale. Sul fronte JCPOA Teheran ha cominciato a realizzare piccole ma significative violazioni del trattato, evidentemente volte irritare la Casa Bianca e mettere pressione anche sugli altri firmatari del Trattato affinché le sanzioni economiche venissero rimosse. L’intensità e la potenziale portata delle violazioni è aumentata nell’inverno 2020, con l’acuirsi della crisi economica interna e il cambio di Presidente negli Usa. Emblematici in tal senso sono l’approvazione de La Legge, e l’annuncio dell’arricchimento del materiale fissile con U-235 al 20%. Tutte le azioni sono state giustificate come legittime sulla base dell’articolo 36 dello stesso Trattato, che permetterebbe ad un Paese Parte leso da un altro firmatario di trovare soddisfazione, violando a propria volta l’Accordo.
Anche sul fronte geopolitico mediorientale Teheran non è rimasta a guardare: sono aumentati gli scontri nel Golfo Persico e le azioni militari nello Stretto di Hormuz, solo ultimo in ordine di tempo, è ad esempio il sequestro nel gennaio 2021 di una nave cargo sud coreana, in cambio della cui liberazione il Governo iraniano ha costretto Seul ad allentare le sanzioni economiche scongelando miliardi di dollari di asset iraniani.
“Massima resistenza”, non resa, sarebbe dunque ciò che gli Usa a guida Trump avrebbero generato in Iran secondo Ellis Mallett della Surrey University. Con l’avvento della Presidenza Biden, ritenuta più moderata, meno spregiudicata e quindi ragionevole ed incline al dialogo, la seranza è che la piena applicazione del Trattato venga ristabilita. Del resto, che le mosse iraniane siano non tanto rivolte a confezionare una bomba atomica, bensì a mettere pressione sull’Amministrazione Biden e favorire un abbassamento delle sanzioni in cambio di un ritorno nell’alveo del JCPOA lo dimostrano le parole del Ministro Zarif, che in un twitt ha scritto: “Le nostre misure sono totalmente reversibili, a condizione che tutti rispettino il trattato”. Insomma la speranza è ancora quella di un do ut des: via le sanzioni economiche, in cambio del rispetto del trattato. (2- fine)
Il precedente approfondimento e’ uscito sabato 27/02 su atlanteguerre
Immagine di Copertina DoD photo by Lisa Ferdinando, Biden sulla sinistra, Lloyd al centro, 10/02/21
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