El Salvador al voto

Nuevas Ideas,  partito creato dal presidente Nayib Bukele, è dato dai sondaggi tra il 56 e il 72% delle intenzioni di voto e i due partiti tradizionali Arena (destra) e Fmln (sinistra) rispettivamente al 6% e al 5%

di Adalberto Belfiore

Oggi nel Salvador si eleggono gli 84 deputati dell’Assemblea nazionale, i 20 del Parlamento Centroamericano (Parlacen) e 262 consigli comunali. Nuevas Ideas, il partito creato dal Presidente Nayib Bukele, è dato dai sondaggi tra il 56 e il 72% delle intenzioni di voto e i due partiti tradizionali Arena (destra) e Fmln (sinistra) rispettivamente al 6% e al 5%. Salvo sorprese, legate a una percentuale di votanti che si aspetta molto bassa causa Covid ma anche per la crisi dei partiti tradizionali, il dubbio è se Nuevas Ideas riuscirà a raggiungere la maggioranza assoluta dei deputati, 43, cosa mai riuscita a nessun partito nella Storia della Repubblica; o se addirittura possa arriva aila maggioranza di 2/3 che permetterebbero al Presidente di sospendere le garanzie costituzionali, cambiare la Costituzione, nominare il Procuratore generale della repubblica, il Procuratore dei Diritti umani e i magistrati della Corte Suprema.

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Sarebbe una concentrazione di poteri che, secondo il giurista Fabio Castillo, non può non preoccupare nelle mani di un uomo che un anno fa non ha esitato a far occupare il Parlamento dai militari per tentare di imporre uno stanziamento di 109 milioni di dollari per un piano di controllo del territorio, che non presenta i conti di gestione di ministeri chiave e che in piena campagna elettorale non ha condannato l’assassinio di due militanti dell’opposizione ad opera di un vigilante del Ministero della Sanità.

Comunicazione e promesse

Bukele, palestinese di nascita, 38 anni (il più giovane Presidente latinoamericano) è un abilissimo comunicatore. Ha promesso di farla finita con il bipartitismo “di quelli di sempre”, fa comizi e conferenze stampa col berrettino da cantante rap girato all’indietro, comunica principalmente con Fb, Instagram e soprattutto twitter, con cui licenzia o promuove funzionari dello Stato e ordina ai ministri assunzioni di personale di suo gradimento. Ha un piglio decisionista, una parlantina sciolta e informale e riesce, attraverso un massiccio marketing elettorale gestito da uno staff di giovani informatici, a comunicare sogni e speranze di redenzione. Il programma di governo del suo partito, il Plan Cuscatlan, sta in mille pagine che promettono l’uscita dal sottosviluppo e il raggiungimento degli standard dei Paesi sviluppati in istruzione, salute, salari, occupazione, sicurezza, infrastrutture, sviluppo economico, tecnologia, diritti civili, parità di genere.

Sembra far breccia in una popolazione impoverita dalla crisi, spaventata dal dilagare della pandemia, oppressa dalla violenza delle bande criminali, le maras. Sul tema, Bukele ha adottato la politica della mano dura con migliaia di arresti. E ha messo nelle stesse celle i pandilleros delle diverse maras, che normalmente si scannano tra di loro, ottenendo che si controllino a vicenda. Vedere i criminali tatuati, che normalmente spadroneggiano nei quartieri più poveri imponendo tributi e sottomissione, incarcerati, ammanettati seminudi e raggruppati come animali fa storcere il naso ai difensori dei diritti umani ma porta consenso.

Tra gli elettori pesa infine il rifiuto dei due partiti che si sono susseguiti al potere negli ultimi 30 anni. Arena (Alleanza repubblicana nazionalista) di estrema destra, già partito degli squadroni della morte e degli assassini di Monsignor Romero, è rimasto il rappresentante delle élites e dei grandi proprietari. E l’Fmln (Fronte Farabundo Martí di liberazione nazionale), il fronte armato della guerriglia convertitosi in partito politico dopo gli accordi di pace del 1992, ha deluso le speranze dei ceti popolari su salari più equi, condizioni di lavoro dignitose, servizi pubblici decenti, contrasto alla violenza e lotta alla corruzione. Dei due presidenti espressi dall’ex movimento guerrigliero il primo, Mauricio Funes, è stato condannato nel 2017 per arricchimento illecito ed è scappato in Nicaragua dove Daniel Ortega gli ha concesso asilo politico. Il secondo, l’ex comandante Salvador Sánchez Cerén, ha terminato l’incarico con la valutazione, secondo un’inchiesta Cid Gallup, di peggior presidente degli ultimi 30 anni per la sua incapacità di affrontare il problema dello sviluppo economico, della disoccupazione e delle bande criminali.

Vittoria scontata

Bukele, già Sindaco della capitale San Salvador come candidato del Fmln (ne venne espulso nell’ottobre del 2018), arrivato alla Presidenza nel 2019 con il 53% dei voti servendosi di un piccolo partito di destra, il Gana, ha giocato le sue carte proprio sulla promessa di superamento del tradizionale bipartitismo, mediaticamente definito “il patto tra i corrotti”. E dopo un anno di governo, pur non potendo vantare nessun risultato effettivo, gode di un consenso da far impallidire: il 92% secondo sondaggi indipendenti. Eppure, come nota Roberto Valencia sulle pagine del Washington Post, secondo la Commissione economica per l’America Latina (Cepal) dell’Onu, il Pil del Salvador registra nel 2020 una caduta dell’8,4%, la peggiore del Centro America, e la popolazione sotto la linea della povertà è passata dal 37 al 40%.

6,7 mln di abitanti, pil pro capite 4058 $, Indice Isu 124° su 189

Ma i due partiti tradizionali si sono arroccati nelle istituzioni, che ancora controllano e, assieme alla vecchia Democrazia Cristiana, non hanno trovato di meglio che organizzare un goffo tentativo di estromettere Bukele richiedendo il 10 febbraio all’Assemblea nazionale, nella quale hanno 63 deputati su 84, la sua destituzione per “Incapacità fisica o mentale” adducendo come pretesto l’occupazione militare del febbraio 2020. Bukele ha avuto buon gioco a gridare al golpe e a pochi giorni dal voto il tentativo è apparso così chiaramente strumentale da essere smentito dopo poche ore dai suoi stessi proponenti. La via per la rottura dei vecchi equilibri e l’affermazione del giovane Presidente anche nelle legislative di oggi sembra, salvo sorprese, spianata. In una recente intervista, richiesto di chiamare per nome le dittature latinoamericane, Bukele ha citato il Venezuela di Maduro, il Nicaragua di Ortega, il Brasile di Bolsonaro e l’Honduras di Hernandez, affermando che “anche chi parte con buone intenzioni, ma poi impedisce la libera espressione del popolo, allora diventa un dittatore”. Un destino che potrebbe toccare anche al Salvador.

In copertina la capitale del Salvador in un’immagine di Wilson Edilberto Santana Suarez. Nel testo, un’immagine di Bukele

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